Programma di Alternativa-Politica

sabato 30 marzo 2013

La Corea del Nord in 'stato di guerra' con il Sud

Usa: prendiamo sul serio le nuove minacce di Pyongyang

 

La Corea del Nord ha annunciato di essere entrata in uno ''stato di guerra'' con il Sud e che ogni questione tra i due paesi sarà trattata su questa base.
 ''D'ora in poi le relazioni intercoreane sono di guerra e tutti i problemi tra le due Coree saranno trattati secondo un protocollo adatto alla guerra'', si legge in una dichiarazione 'speciale' congiunta dall'alta retorica, peraltro non nuova, di ''partito, ministeri e altre istituzioni'' rilanciata dall'agenzia ufficiale Kcna. ''Situazioni nella penisola coreana, che non sono ne' di pace e ne' di guerra, sono giunte alla fine'', si legge ancora nel dispaccio, in cui si menziona la riunione d'emergenza convocata appena giovedi' dal leader nordcoreano Kim Jong-un per approvare i piani che hanno per obiettivo mettere nel mirino target negli Usa e in Corea del Sud, dopo l'utilizzo dei super bombardieri B-2 nelle esercitazioni congiunte di Washington e Seul destinate a concludersi a fine aprile. La ''decisione importante'' di Kim e' un ultimatum alle ''forze ostili e una decisione definitiva per la giustizia''. Pur in attesa dell'ordine di attacco del 'giovane generale' e leader supremo, e' innegabile ''una rappresaglia senza pieta' in caso di atti di provocazione'' da parte degli Stati Uniti o della Corea del Sud. Tra le due Coree, separate all'altezza del 38/mo parallelo, c'e' ancora formalmente uno stato di guerra visto che per porre fine al sanguinoso conflitto del 1950-53 fu siglato un armistizio e non un trattato di pace formale, 'annullato' pochi giorni fa da Pyongyang insieme a tutti i patti di non aggressione con il Sud in risposta al ciclo di manovre militari speciali (denominate 'Key Resolve'), tenute da Usa e Corea del Sud dall'11 al 21 marzo.
La Corea del Nord ha minacciato di chiudere l'area industriale a sviluppo congiunto di Kaesong se la Corea del Sud non fermerà gli "insulti" relativi alla operatività del distretto "solo per la necessità" di Pyongyang di raccogliere risorse finanziarie fresche. "Se il gruppo di traditori (del Sud, ndr) continua a parlare del fatto che la zona di Kaesong è mantenuta operativa a danno della nostra dignità, allora - ha riferito l'agenzia ufficiale Kcna - il distretto sarà chiuso senza pietà". Nonostante la Corea del Nord abbia annunciato in mattinata di essere entrata in uno "stato di guerra" con il Sud, lavoratori, tecnici e funzionari sudcoreani hanno potuto attraversare senza problemi il confine allo scopo di raggiungere il distretto industriale di Kaesong. Il Nord ha notificato al Sud, attraverso una linea telefonica secondaria visto il taglio di quella 'rossa militare' deciso appena pochi giorni fa, l'approvazione del numero complessivo quotidiano di ingressi e uscite. Citando il ministero dell' Unificazione, l'agenzia Yonhap ha riferito che un totale di 241 sudcoreani avrebbero dovuto recarsi al distretto di Kaesong, sulla linea di confine ma in enclave nordcoreano, mentre altri 510 sarebbero dovuti rientrare. Il complesso, di cui è capofila il colosso Hyundai, conta 123 aziende sudcoreane con impianti e strutture manifatturiere che danno lavoro a 50.000 nordcoreani il cui salario finisce per essere versato d fatto per intero nelle casse di Pyongyang. Kaesong è una delle ormai ridotte fonti sicure per la raccolta di valuta estera, dato che i pagamenti sono effettuati in dollari.
Gli Stati Uniti prendono sul serio le nuove minacce giunte dalla Corea del Nord, che ha indicato di essere in stato di guerra con il sud. Lo afferma la Casa Bianca. ''Abbiamo visto le informazioni contenute nel nuovo comunicato non costruttivo della Corea del Nord. Prendiamo queste minacce sul serio e restiamo in stretto contatto con i nostri alleati sud coreani''.
La Russia ha lanciato un appello alla "massima responsabilità e moderazione" alle due Coree e agli Stati Uniti dopo che Pyongyang ha annunciato lo 'stato di guerra' contro Seul. "Ci aspettiamo dalle due parti la massima responsabilità e moderazione e che nessuno superi il punto di non ritorno", ha detto Grigori Logvinov, responsabile incaricato per la Corea del ministero degli Esteri russo, citato dall'Interfax.
Il ministro tedesco degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, invita la Corea del Nord a smettere di giocare con il fuoco. In un'intervista al quotidiano Bild il capo della diplomazia tedesca spiega che "anche se le immagini e le parole che provengono dalla Corea del Nord sembrano uscire da un'altra epoca" queste "rappresentano una grave minaccia per la pace in tutta la regione". Wsterwelle si dice "molto preoccupato" ribadendo che "il gioco irresponsabile della Corea del Nord deve cessare".
La Francia chiede a Pyongyang di "astenersi da qualsiasi nuova provocazione". Parigi - spiega il portavoce del ministro degli esteri francese Philippe Lalliot in una nota - "é profondamente preoccupata per la situazione nella penisola coreana" e "ha esortato la Corea del Nord ad astenersi da ulteriori provocazioni, adempiendo ai suoi obblighi internazionali anche sotto le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, e riprendendo rapidamente la via del dialogo".

FONTE:

giovedì 28 marzo 2013

Dopo Cipro fuggire o aprire l’europa come una scatoletta di squali.

di Pino Cabras e Simone Santini –Megachip.
Esplode la voglia di fuggire dall’Europa, adesso che i suoi padroni aizzano i cani della crisi contro i popoli. I proprietari universali hanno fatto alcuni esperimenti da Shock Economy per vedere se gli azzannati riuscivano a difendersi. Volevano collaudare – su scala ridotta, ma non troppo – il modo in cui una società potrebbe essere annichilita da una burocrazia ottusa e feroce e trovarsi impedita se volesse rovesciare la politica dominante. La Grecia avrebbe potuto riassorbire la fase acuta della crisi in pochi mesi, e invece le sono state somministrate per anni ricette economiche prive di qualsiasi apparente logica. Mentre si licenziavano centinaia di migliaia di lavoratori, a quelli che conservavano il posto si imponevano stipendi decurtati e orari ben oltre le 40 ore settimanali. E ora siamo giunti al test di Cipro, non ancora concluso, eppure già adottato dagli eurocrati che gongolano perché lo vogliono ripetere su larga scala. Pazzi e pericolosi, sembrerebbe. La tentazione è dunque fuggire, come invoca Debora Billi sul suo blog Crisis: «Fuggite, sciocchi!». Anche noi, come lei, abbiamo paura della dittatura dello spread: è un nuovo dispotismo mostruoso, diabolico, impersonale, disperante. Ma dobbiamo lo stesso chiedercelo: «Fuggire? Dove?»…
L’alternativa non è tra fuggire o rimanere in uno stato di schiavitù. La scelta, ora, è tra combattere o rimanere schiavi, laddove la fuga non sarebbe altro che una delle tante forme del rimanere schiavi.
Esistesse un’isola, dall’altra parte del mare, o una radura, dall’altra parte della montagna, in cui regna la libertà, si potrebbe pensare di fuggire lì per immaginare un’altra vita, un nuovo mondo. Ma questo luogo non esiste: non c’è, ad esempio, per 60 milioni di italiani. Noi siamo qui, ora, e possiamo solo combattere o arrenderci.
Fuggire dalla dittatura europea vuol dire (ri)entrare nella dittatura dell’Italia comunque senza sovranità,sotto il comando atlantico. Film già visto? Sì e no. Stavolta sarebbe peggio.
All’epoca della guerra fredda, c’era una sorta di “semi-sovranità”, un gioco sub-dominante in mano a partiti politici che facevano partecipare direttamente al sistema politico milioni di persone. Non era un pasto facile da divorare, quell’Italia, nemmeno per chi aveva messo gli stivaloni nel piatto. L’Italia di oggi ha invece una politica destrutturata, sindacati annientati, corpi sociali intermedi che agiscono solo a corto raggio. E’ pronta per essere spolpata da multinazionali occidentali, petromonarchi arabi, mega-imprenditori cinesi, magnati russi, e mafiosi di ogni nazionalità, ordine e grado, che avranno gioco facile, purché gli sia chiara la vera regola: dove orbitano i soldi. La galassia del denaro deve ruotare ancora e sempre intorno all’asse Wall Street-Londra. Ora non c’è più simpatia per le distrazioni centrifughe dei paradisi fiscali. Non è più il tempo nemmeno per quelle zone ambigue e paramafiose che si ossigenavano in Vaticano o a Cipro.
Sembra disordine, sembra solo follia, ma non c’è da giurarci. Vediamo capitalisti in rovina, distruzione, ma non è nulla di nuovo. C’è semmai un ordine che vorrebbe emergere dal caos “esternalizzando” i costi sui popoli e sulla natura.
Proprio oggi, una sorpresa: nientemeno che il settimanale statunitense Time dice che Karl Marx queste cose le aveva previste, che era stato proprio profetico. Se lo dicono anche gli americani, viene voglia di rileggere il libro primo del «Capitale». Parlava forse di noi, di quel che accade ora? Senti qui che cosa diceva il buon Marx: «con la produzione capitalistica si forma una potenza del tutto nuova, il “sistema del credito”, che ai suoi primordi si intrufola di soppiatto come modesto ausilio dell’accumulazione e mediante invisibili fili attira nelle mani di capitalisti individuali o associati i mezzi monetari disseminati in masse più o meno grandi sulla superficie della società, ma ben presto diviene un’arma nuova e temibile nella lotta di concorrenza, e infine si trasforma in poderoso meccanismo sociale per la centralizzazione dei capitali».
Ecco il concetto, centralizzazione dei capitali. Questa Europa – giustamente esecrata da noi e da Debora Billi, l’Europa di questo Euro – è stata anche un gigantesco meccanismo di «centralizzazione dei capitali»: prima si è presentata come un ambiente vivace per la concorrenza, poi come un sistema che (ancora Marx) causa la «rovina di molti capitalisti minori, i cui capitali in parte finiscono nelle mani di chi vince, in parte scompaiono» (assieme alle prospettive di milioni di persone), infine un processo di centralizzazione che si addensa là dove vuole la politica dominante. Noi vediamo il nuovo volto terribile della Germania e dell’eurocrazia che produce governi “tecnici” e governi maggiordomi, con una mezzogiornificazione del Sud Europa, l’area perdente in questa fase della centralizzazione.
Sopra questo processo si avanza però qualcosa di più vasto ancora. Faremo bene ad abituarci quanto prima a discutere della nuova Agenda Atlantica, ossia l’area di libero scambio (con tanto di istituzioni sovranazionali euroamericane) che è già materia di pre-negoziato a Washington e presso l’élite europea.
In una crisi sistemica montante, non possiamo realisticamente escludere che la “fuga dalla dittatura” non la faremo noi, ma la stiano progettando loro per noi, per gettarci in quest’altro bel baratro, per una forma suprema di centralizzazione dei capitali, l’ultimo giro di giostra dei redditieri.
Intanto fuggiamo dalla dittatura, dice Billi, e poi si vedrà? No, poi non sarà possibile vedere niente. È mentre si combatte che si costruisce il “poi”, non mentre si fugge.
I partigiani che hanno scalato la montagna, e che sono morti, che ne sapevano della “svolta di Salerno” di Togliatti? Poi hanno avuto cinquanta anni di americani e Democrazia Cristiana. Avevano forse scalato la montagna e sono morti per avere quello? No, e ciononostante hanno avuto la possibilità per decenni di lasciare contrappesi e contropoteri nel sistema. Oggi rischieremmo per paradosso di consegnarci mani e piedi a una Bruxelles più invadente ancora, e più atlantizzata. Un incubo.
No, Debora, noi non vogliamo fuggire. Vogliamo combattere. E speriamo, vogliamo, essere con te dalla stessa parte. Parliamo, nientemeno, di una rivoluzione politica. In grado di immaginare una sfida europea.Una nuova Costituzione europea, perché no? L’importante (non sappiamo se è un fuggire) è che si abbandonino gli attuali trattati in vigore, Lisbona e Maastricht. Chi può farlo? I popoli, se fanno politica e si sentono sovrani.
Uno dei più colossali fraintendimenti del fenomeno Cinque Stelle è stato quello di Wu Ming, che lo ha visto come una sorta di anestetico dei conflitti, tanto da metterlo in contrapposizione alla presunta maggiore radicalità di Occupy Wall Street e Indignados.
Invece la presenza nelle istituzioni, proprio questo volerci essere, ha fatto una differenza enorme per il movimento italiano. Al momento esso è infinitamente più dirompente rispetto alle piazze spente dei movimenti più radicali di altri Paesi. Se vogliamo immaginare un processo costituente internazionale che riesca a contrastare l’Agenda Atlantica, dovremo comunque pensarlo molto proiettato dentro le istituzioni.
Anche la Nato e la UE sono da aprire come scatolette, purché si sappia che lì dentro non ci sono esattamente tonni.

FONTE: ALTERNATIVA:

martedì 26 marzo 2013

Acqua pubblica: per il Tar toscano bollette illegittime dopo il referendum 2011

All’indomani del referendum del 12 e 13 giugno 2011, i forum nazionali e regionali dei movimenti dell’acqua avevano “pesato” intelligentemente il successo plebiscitario dell’esito referendario affermando che la loro attività sarebbe proseguita in qualità di garanti dell’effettivo rispetto della volontà popolare.
Dalla Toscana arriva una notizia che si inserisce a pieno nel processo di ripubblicizzazione di molte municipalizzate (o presunte tali) dei servizi idrici.

Proprio in concomitanza con la Giornata mondiale dell’acqua, festeggiata lo scorso venerdì, il Tar della Toscana ha accolto il ricorso presentato dai forum in difesa dell’acqua pubblica nei confronti delle tariffe proposte dai gestori dopo il referendum. 

Nelle bollette, infatti, compare la voce “remunerazione del capitale investito” che il voto popolare aveva abrogato quasi due anni fa. Il ragionamento è semplice: se l’acqua è un bene pubblico non può dare lucro, dunque non ci può essere “remunerazione del capitale investito”. Le bollette, in sostanza, devono servire a pagare le spese di gestione delle reti, dell’amministrazione e del personale, ma non i dividendi agli eventuali azionisti.

Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua aveva sempre sostenuto l’illegittimità delle bollette post referendarie, tanto da indire la Campagna di Obbedienza Civile, nella quale i cittadini sono stati invitati ad autoridursi la bolletta pagando la bolletta coerentemente con l’esito del referendum.

Nella sentenza del Tar i criteri di remunerazione sono travolti “dalla volontà popolare abrogatrice”. Secondo il Forum la sentenza sembra destinata a conferire ulteriore slancio ai processi di ripubblicizzazione dell’acqua in atto in molte città italiane.

Nel 2011, dopo il referendum, l’ex Autorità di ambito (ATO2) composta dai 56 sindaci del Basso Valdarno aveva approvato, due delibere (n. 12 e n. 13) in contrasto con l’esito del referendum. Ora il Tar ha rimesso le cose a posto, ma il Forum dei movimenti per l’acqua non smobilita, anzi, sta già lavorando affinché i gestori restituiscano il surplus di denaro incassato illegittimamente sulle bollette inclusive della “remunerazione del capitale investito” e i consumatori che hanno aderito all’azione di Obbedienza Civile si vedano annullare le lettere di messa in mora.

Che cosa succederà adesso? La sentenza - ha spiegato Francesco Torselli, consigliere comunale di Firenze - se da una parte ci fa assolutamente gioire, dall'altra potrebbe aprire le porte all'ennesima anomalia: a leggere quanto riportato dalle agenzie sul pronunciamento del TAR, chi ha pagato correttamente le bollette, rispettando leggi, regole e scadenze, rischia infatti di essere, come si dice a Firenze, "becco e bastonato". Il TAR avrebbe infatti ritenuto nel giusto quei cittadini che, a seguito dall'esito referendario, hanno scelto di non pagare più l'intera somma delle bollette recapitate, ma di decurtarsi "da soli" la parte riguardante la remunerazione del capitale investito abolito dai referendum". "Non tutti - prosegue l'esponente di Fratelli d'Italia - hanno però le conoscenze, le capacità e soprattutto la volontà di scegliere la via della disobbedienza civile. Questo però non può e non deve voler dire che chi ha pagato correttamente oggi deve essere penalizzato!".
La battaglia per le associazioni dei consumatori non sembra quindi finita con la sentenza del Tar. In attesa di nuovi sviluppi, chi è stato ligio dovrà accontentarsi per il momento di una vittoria di principio.

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lunedì 18 marzo 2013

Pordenone, referendum in stallo sul nuovo ospedale

Ora è ufficiale, impossibile votare prima dell’autunno per problemi tecnici. Solo il consiglio potrebbe sbloccare l’iter. Martedì vertice di maggioranza

PORDENONE. Non c’è altra possibilità: il referendum sul nuovo ospedale può essere fatto entro giugno solo se lo chiede il consiglio comunale. Ad attestarlo la relazione con la quale il segretario generale del Comune, Paolo Gini, ha “congelato” l’iter procedurale dopo il deposito del quesito in quanto la commissione dei garanti, prevista dal regolamento, è monca per l’assenza della figura del difensore civico mai istituita in Comune e abrogata dalla Regione. Un impedimento tecnico che rilancia la palla alla politica già chiamata a scegliere, dopo la seduta delle commissioni consiliari riunite: lunedì il vertice del Pd, il giorno dopo quello di maggioranza.

L’inghippo. Dopo il deposito del quesito spetta al comitato dei garanti dichiararne l’ammissibilità. L’organismo, a norma di regolamento, è composto dal segretario generale, dal presidente del tribunale e dal difensore civico, comunale o regionale, che manca.
«Non ci sono incertezze interpretative - spiega Gini - perché il regolamento stabilisce che la commissione dei garanti per deliberare ha necessità della presenza di tutti i componenti. Ciò non può avvenire per l’assenza del difensore civico e quindi questo blocca tutto. Come ho spiegato nella mia relazione, va modificato l’articolo 4 del regolamento prevedendo una nuova composizione della commissione».
Dal punto di vista dei tempi ci vorranno almeno 40 giorni: la delibera deve passare in commissione e quindi essere approvata dal consiglio con una maggioranza qualificata. Una volta dichiarata l’immediata eseguibilità, va pubblicata per 15 giorni. Si arriva, in sostanza, a metà aprile. Da quel momento scattano i 20 giorni di tempo dati alla commissione per esprimersi.
Se il quesito sarà chiarato ammissibile, i referendari hanno 60 giorni di tempo per raccogliere le firme. Si arriva, in sostanza, ai primi giorni di luglio. Ma non basta. Sempre la commissione ha 10 giorni di tempo, dal deposito delle firme, per vagliarle e quindi trasmess la delibera entro 7 giorni al sindaco che la pubblica all’albo pretorio per 15 giorni. In considerazione anche del fatto che i referendum, sempre a norma di regolamento, si possono tenere tra aprile e giugno o settembre e novembre si arriva all’autunno inoltrato.

Il consiglio. Caso diverso se, come chiesto dai referendari, l’assemblea municipale si farà carico del quesito, ma deve deliberare con una maggioranza di due terzi, ovvero 27 consiglieri. Approvata la delibera il sindaco ha 3 mesi di tempo per indire la consultazione che a questo punto si potrebbe tenere tra fine maggio e giugno. Una richiesta, quest’ultima, che viene formalizzata anche dalla segreteria provinciale di Rifondazione comunista.

Maggioranza. Una strada che, allo stato, potrebbe raccogliere consensi nel Pd, ma non nel Fiume e in Vivo Pn che considerano comunque potestà del consiglio la materia. Tra l’altro spetta alla stessa commissione dei garanti giudicare se l’eventuale approvazione dell’accordo di programma (che avviene in un’unica seduta, senza il doppio esame come per le varianti urbanistiche) “supera” la richiesta referendaria. Commissione, per l’appunto, che potrebbe esprimersi solo a fine aprile.
Lunedì si terrà il vertice del Pd, dove sono molti i mal di pancia, mentre il giorno dopo avrà luogo l’incontro di maggioranza. L’autorizzazione alla sottoscrizione dell’accordo dovrebbe andare in giunta venerdì, una linea ormai sposata dal sindaco.

Scelta civica. Il consigliere regionale, Gianfranco Moretton, reitera la richiesta che si decida dopo il voto. «Non si capisce - afferma - quali siano le ragioni di una accelerazione di tal fatta, considerato che negli ultimi 5 anni nessuno si è mai agitato così tanto».
Moretton si augura che non si voglia fermare il referendum e invita a lasciare decidere la prossima giunta sul progetto finanziario del nuovo ospedale». Infine il tema dell’attuale area di via Montereale: «Non è che si è già deciso di realizzare altri appartamenti, svalutando i tanti che già esistono?».

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Gli impenditori bussano agli sportelli della Caritas: «Per noi l'ultima spiaggia»

Al Centro d'ascolto non più solo stranieri: i maggiori accessi
da friulani disagiati anche artigiani e manager senza lavoro

 

di Pier Paolo Simonato
PORDENONE - I primi piccoli imprenditori rovinati dalla crisi, essenzialmente provenienti dal settore artigianale, hanno bussato negli ultimi 12 mesi alla porta del Centro d’ascolto della Caritas di Pordenone. Tra loro c'è anche un ex manager, con un passato importante e un futuro nebuloso.

Un tempo arrivavano soltanto gli stranieri, ma da due anni a questa parte le cose sono cambiate. Pur registrando ancora una larga maggioranza di immigrati (76% di 51 diversi Paesi), nel 2012 i pordenonesi sono diventati i più rappresentati: 175 (+29 rispetto al 2011). Li seguono nell’ordine ghanesi (95), marocchini (65), romeni (65) e albanesi (51). I dati sono emersi ieri, nell’auditorium della Curia, alla relazione annuale della struttura di solidarietà diocesana.

Le persone incontrate sono state 742 (+13%), quelle aiutate duemila. La massiccia presenza di italiani segnala che la situazione economica del territorio si va deteriorando sempre più. La responsabile del servizio, Adriana Segato, è stata chiara: «Sono soggetti multiproblematici, che evidenziano solitudine e complesse situazioni di difficoltà. Vengono da noi soltanto quando si sentono ormai all’ultima spiaggia». L’orgoglio cede se i bisogni diventano troppi e troppo estesi. Nel 59% dei casi sono uomini. E gli altri? «Spesso individuiamo eventi traumatici all’origine dei percorsi di povertà: perdita del lavoro, separazioni, malattia, lutti. Scopriamo nuclei familiari la cui rete parentale è inesistente».

Le femmine? Soprattutto straniere, nel 52% delle circostanze sole o con figli a carico. «Abbiamo attivato un percorso particolare di aiuto, di concerto con l’Area donne della Caritas - aggiunge Segato -. In questo modo sono stati predisposti percorsi d’accoglienza ancor più mirati, supportati dalla professionalità maturata negli anni dagli operatori». Sulla necessità di fare rete hanno dibattuto il direttore don Davide Corba, l’assessore Vincenzo Romor, il vicepresidente provinciale Eligio Grizzo, Gianpaola Modolo della Prefettura e il vescovo Giuseppe Pellegrini. «Non fermiamoci alla freddezza dei numeri - esorta il presule -. Qui parliamo di persone e famiglie: dobbiamo camminare con loro, offrendo degne soluzioni».

Un applauso è andato ai volontari. Le criticità maggiori si segnalano nella fascia d’età compresa tra i 31 e i 45 anni, soprattutto tra gli immigrati. Dopo un periodo relativamente sereno (2002-2008), ora la crisi economica morde anche le seconde generazioni di africani e romeni. Il totale delle spese annuali si attesta a quota 66mila 428 euro, 3mila 433 dei quali investiti nelle borse della spesa. Le risorse arrivano dal salvadanaio diocesano dell’8 per mille (52mila euro) e dalle offerte dei privati. Purtroppo non bastano mai: il ri-nascente fondo straordinario di solidarietà darebbe una grossa mano.

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50 verità su Hugo Chavez e la Rivoluzione bolivariana

Deceduto il 5 marzo 2013 all'età di 58 anni a causa del cancro, il presidente Hugo Chavez ha segnato per sempre la storia del Venezuela e dell'America Latina.
 di Salim Lamrani - lapluma.net.
Tradotto da Alba Canelli per Tlaxcala.
 
1. Mai nella storia dell'America Latina, un leader politico aveva raggiunto una legittimità democratica così incontestabile. Fin dal suo arrivo al potere nel 1999, sedici elezioni hanno avuto luogo in Venezuela. Hugo Chavez ne ha vinte quindici, l'ultima il 7 ottobre 2012. Ha sempre battuto gli avversari con una differenza di 10-20 punti
 
2. Tutte le organizzazioni internazionali, dall'Unione Europea all'Organizzazione degli Stati Americani, attraverso l'Unione delle Nazioni Sudamericane e il Centro Carter unanimemente hanno riconosciuto la trasparenza delle elezioni.
 
3. James Carter, ex presidente degli Stati Uniti, dichiarò che il sistema elettorale  venezuelano era il "migliore del mondo".


4. L'accesso universale all'istruzione attuata dal 1998 ha avuto risultati eccezionali. Circa 1,5 milioni di venezuelani hanno imparato a leggere, scrivere e contare, grazie alla campagna di alfabetizzazione, chiamata Missione Robinson I.
 
5. Nel dicembre 2005, l'UNESCO ha dichiarato che l'analfabetismo era stato sradicato in Venezuela.
 
6. Il numero di bambini che frequentano la scuola è passato da 6 milioni nel 1998 a 13 milioni nel 2011 e il tasso di scolarizzazione nella scuola primaria è ora del 93,2%.
 
7. La Missione Robinson II fu lanciata al fine di far raggiungere a tutta la popolazione il livello universitario. Pertanto, il tasso di iscrizione alla scuola secondaria è aumentato dal 53,6% nel 2000 al 73,3% nel 2011.
 
8. Le missioni Ribas e Sucre hanno permesso a centinaia di migliaia di giovani adulti di intraprendere gli studi universitari. Così, il numero di studenti è passato da 895.000 nel 2000 a 2,3 milioni nel 2011, con la creazione di nuove università.
 
9. Nell'ambito della salute, il Servizio Sanitario Nazionale pubblico è stato creato per garantire l'accesso all'assistenza sanitaria gratuita a tutti i venezuelani. Tra il 2005 e il 2012, sono stati creati in Venezuela 7.873 centri medici.
 
10. Il numero di medici ogni 100.000 abitanti è aumentato da 20 nel 1999 a 80 nel 2010, con un incremento del 400%.
 
11. La Missione Barrio Adentro ha permesso di effettuare 534 milioni di visite mediche. Circa 17 milioni di persone poterono essere curate, mentre nel 1998, meno di 3 milioni di persone avevano regolare accesso alle cure. 1.700.000 di vite sono state salvate tra il 2003 e il 2011
 
12. Il tasso di mortalità infantile è sceso dal 19,1 per mille del 1999 al 10 per mille nel 2012, che significa una riduzione del 49%. 
 
13. L'aspettativa di vita è aumentata da 72,2 anni nel 1999 a 74,3 anni nel 2011. 
 
14. Grazie all'Operazione Miracolo lanciata nel 2004, 1,5 milioni di venezuelani affetti da cataratta e altre malattie dell'occhio, hanno riacquistato la vista. 
 
15. Dal 1999 al 2011, il tasso di povertà è passato dal 42,8% al 26,5% e il tasso di povertà estrema dal 16,6% al 7%.
16. Nella classifica dell'Indice di Sviluppo Umano del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, il Venezuela è passato dall'ottantatreesimo posto nell'anno 2000 (0,656) al settantatreesimo posto nel 2011 (0,735), ed è entrato nella categoria delle nazioni con un indice di sviluppo umano elevato.

17. Il coefficiente GINI, che permette di calcolare la disuguaglianza in un paese, è passato dallo 0,46 nel 1999 allo 0,39 nel 2011.

18. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, il Venezuela mostra il coefficiente GINI più basso dell'America Latina, essendo il paese della regione dove c'è meno disuguaglianza.

19. Il tasso di denutrizione infantile si è ridotto del 40% dal 1999.

20. Nel 1999, l'82% della popolazione aveva accesso all'acqua potabile. Ora è il 95%.

21. Durante la presidenza di Chávez, la spesa sociale è aumentata del 60,6%.

22. Prima del 1999, solo 387.000 anziani ricevevano una pensione. Ora sono 2,1 milioni.

23. Dal 1999 si sono costruiti 700.000 alloggi in Venezuela.

24. Dal 1999, il governo ha consegnato più di un milione di ettari di terra ai popoli aborigeni del paese.

25. La riforma agraria ha permesso a decine di migliaia di agricoltori di essere padroni della propria terra. In totale, si sono distribuiti più di tre milioni di ettari.

26. Nel 1999, il Venezuela produceva il 51% degli alimenti che consumava. Nel 2012 la produzione è del 71%, mentre il consumo di alimenti è aumentato dell'81% dal 1999. Se il consumo del 2012 fosse simile a quello del 1999, il Venezuela produrrebbe il 140% degli alimenti consumati a livello nazionale.

27. Dal 1999, le calorie consumate dai venezuelani sono aumentate del 50% grazie alla Misión Alimentación, che ha creato una catena di distribuzione di 22.000 magazzini alimentari (MERCAL, Casas de Alimentación, Red PDVAL), in cui i prodotti sono sovvenzionati fino al 30%. Il consumo di carne è aumentato del 75% dal 1999.

28. Cinque milioni di bambini ricevono adesso alimentazione gratuita attraverso il Programa de Alimentación Escolar. Erano 250.000 nel 1999.

29. Il tasso di denutrizione è passato dal 21% nel 1998 a meno del 3% nel 2012.

30. Secondo la FAO, il Venezuela è il paese dell'America Latina e dei Caraibi che più ha avanzato nella lotta per eliminare la fame.

31. La nazionalizzazione dell'ente petrolifero PDVSA nel 2003 ha permesso al Venezuela di recuperare la sua sovranità energetica.

32. La nazionalizzazione del settore dell'elettricità e di quello delle telecomunicazioni (CANTV e Electricidad de Caracas) ha permesso di porre fine a situazioni di monopolio e di universalizzare l'accesso a questi servizi.

33. Dal 1999 sono state create più di 50.000 cooperative in tutti i settori dell'economia.

34. Il tasso di disoccupazione è passato dal 15,2% nel 1998 al 6,4% nel 2012, con la creazione di oltre 4 milioni di posti di lavoro.

35. Il salario minimo è passato da 100 bolívares (16 dollari) nel 1998 a 247,52 bolívares (330 dollari) nel 2012, ovvero un aumento di oltre il 2.000%. Si tratta del salario minimo più alto dell'America Latina.

36. Nel 1999, il 65% della popolazione attiva percepiva il salario minimo. Nel 2012 solo il 21,1% dei lavoratori si trovano a questo livello salariale.

37. Gli adulti che non hanno mai lavorato dispongono di un reddito di protezione equivalente al 60% del salario minimo.

38. Le donne sole, così come le persone portatrici di handicap, ricevono un aiuto equivalente all'80% del salario minimo.

39. L'orario di lavoro è stato ridotto a 6 ore al giorno e a 36 ore settimanali, senza diminuzione salariale.

40. Il debito pubblico è passato dal 45% del PIL nel 1998 al 20% nel 2011. Il Venezuela si è ritirato dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, rimborsando con anticipo tutti i suoi debiti.

41. Nel 2012 il tasso di crescita del Venezuela è stato del 5,5%, uno dei più elevati del mondo.

42. Il PIL pro capite è passato da 4.100 dollari nel 1999 a 10.810 dollari nel 2011.

43. Secondo il rapporto annuale World Happiness del 2012, il Venezuela è il secondo paese più felice dell'America Latina, dietro il Costa Rica, e il diciannovesimo a livello mondiale, davanti a Germania o Spagna.

44. Il Venezuela offre un appoggio diretto al continente americano più importante di quello fornito dagli Stati Uniti. Nel 2.700 Chávez ha destinato più di 8.800 milioni di dollari a donazioni, finanziamenti e aiuti energetici, a fronte dei soli 3.000 milioni dell'amministrazione Bush.

45. Per la prima volta nella sua storia, il Venezuela dispone dei suoi satelliti (Bolívar e Miranda) ed ha ora la sovranità nel campo della tecnologia spaziale. Internet e le telecomunicazioni coprono tutto il territorio.

46. La creazione di Petrocaribe nel 2005 permette a 18 paesi dell'America Latina e dei Caraibi, ovvero 90 milioni di persone, di acquistare petrolio sovvenzionato fra il 40% e il 60%, e di assicurarsi il proprio fabbisogno energetico.

47. Il Venezuela porta aiuto anche alle comunità svantaggiate degli Stati Uniti, fornendo loro combustibile a tariffe agevolate.

48. La creazione della Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América (ALBA) nel 2004 fra Cuba e Venezuela ha posto le basi di un'alleanza di integrazione basata sulla cooperazione e la reciprocità, che raggruppa 8 paesi membri, e che pone l'essere umano al centro del progetto di società, con l'obiettivo di lottare contro la povertà e l'esclusione sociale.

49. Hugo Chávez è stato l'artefice della creazione nel 2011 della Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (CELAC), che raggruppa per la prima volta le 33 nazioni della regione, che così si emancipano dalla tutela di Stati Uniti e Canada.

50. Hugo Chávez ha svolto un ruolo chiave nel processo di pace in Colombia. Secondo il presidente Juan Manuel Santos, «se stiamo avanzando in un progetto solido di pace, con progressi chiari e concreti, progressi mai raggiunti prima con le FARC, è anche grazie alla dedizione e all'impegno di Chávez e del governo del Venezuela».

Per concessione di Tlaxcala
Fonte: http://www.fr.lapluma.net/index.php?option=com_content&;view=article&id=1552:2013-03-10-19-32-19&catid=58:opinion&Itemid=451.
Data dell'articolo originale: 10/03/2013
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=9423
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giovedì 14 marzo 2013

MUOS: ciò che Crocetta e Monti non dicono

di Comitato di base No-Muos di Modica.

Il recente documento congiunto di Monti e del governatore siciliano Crocetta rappresenta un passo avanti sulla vicenda Muos ma apre grandi interrogativi e lascia gravemente irrisolte alcune questioni che i Comitati No-Muos ritengono degne di elevata attenzione. 

A Crocetta e Monti intendiamo ricordare che finora gli USA hanno sempre tenuti nascosti i dati e le informazioni sul sistema militare Muos e che i Comitati hanno in questi mesi prodotto "materiali" quasi come carbonari e costretti a “rubare” qua e là dati tenuti celati da logiche militari aberranti: gli USA (e il Governo Italiano..) hanno il dovere di rendere pubbliche immediatamente le informazioni e i dati di base sul sistema delle parabole Muos. 

I dati sono da rendere subito pubblici e servono sia agli eventuali esperti di organismi "terzi" che dovrebbero stabilire l'eventuale pericolosità delle parabole (Monti e Crocetta parlano di Istituto Superiore della Sanità e/o di organismi OMS..) sia ai Comitati No-Muos e ai loro esperti che da più di un anno denunciano omissioni e criticità sbugiardando gli americani, l’ex governatore siciliano Lombardo e tirando in ballo l’ambiguità del governo nazionale. 

A Crocetta, a Monti e agli USA ricordiamo anche che la vicenda del cantiere delle parabole satellitari Muos è inscindibile dalla questione delle adiacenti 46 antenne NTRF funzionanti: è da 22 anni che i gruppi umani niscemesi sono vittime di nubi di elettrosmog militare e il Muos non è altro che la continuazione "elegante" di un sistema di comunicazioni militari dannoso per l’ecosistema e la salute dei cittadini. 

Chiedere quindi la revoca di ogni autorizzazione per il Muos significa anche pretendere simultaneamente lo spegnimento e lo smantellamento delle 46 antenne militari attualmente funzionanti.
A Crocetta, a Monti, agli USA ricordiamo infine che le ridicole misure di compensazione volte a "risarcire" il territorio di Niscemi e siciliano (volute dall'ex ministro della guerra La Russa e dall'ex governatore Lombardo) per i potenziali danni provocati dalle parabole rappresentano un'offesa che colpisce la dignità dei siciliani. 

Monti e Crocetta temono le ragioni degli attivisti e dei comitati No-Muos e mirano con l'incontro dell’altro giorno a "disinnescare" la manifestazione nazionale No-Muos del 30 Marzo a Niscemi e a mitigare l'umana potenza dei blocchi e del Presidio R'esistente di C.da Ulmo. Ma oramai il dado è tratto e l’accordo Crocetta-Monti sul Muos va “lasciato” a chi lo ha firmato. Gli attivisti e i cittadini No-Muos non si fermeranno e continuando a fare i blocchi e partecipando al corteo del 30 produrranno la loro inequivocabile "relazione" sulle parabole americane del Muos e sulle adiacenti 46 antenne funzionanti: le basi militari americane, gli strumenti di morte, i droni umiliano i territori e i gruppi umani siciliani e generano bruttezza, angoscia a malessere. Per tali motivi l'evento No-Muos del 30 Marzo non potrà che essere una sorta di atto di sfratto per i militari americani e una giornata solenne in cui dichiarare le parabole satellitari Muos e le antenne militari NTRF di Niscemi "Vergogna per l'Umanità".

venerdì 8 marzo 2013

Lo Stato-mafia alla sbarra: inizia il processo sulla trattativa

di Lorenzo Baldo - 7 marzo 2013
Palermo.
 “Visto l'art. 429 c.p.p. il giudice dispone il rinvio a giudizio di: Bagarella Leoluca Biagio, Brusca Giovanni, Ciancimino Massimo, Cinà Antonino, De Donno Giuseppe, Dell’Utri Marcello, Mancino Nicola, Mori Mario, Riina Salvatore, Subranni Antonio, per i reati a loro rispettivamente ascritti nella richiesta di rinvio a giudizio di cui in epigrafe, indicando per la comparizione dei predetti l’udienza del giorno 27 maggio 2013, che si svolgerà alle ore 9.30 davanti alla sezione seconda della Corte di Assise del Tribunale di Palermo, aula B1 Complesso Pagliarelli”. Manca qualche minuto all’una quando il gup Piergiorgio Morosini legge il decreto di rinvio a giudizio nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia. In un istante tutta la tensione accumulata fino a quel momento si stempera nell’aria della piccola aula della II sezione penale della Corte di Assise. Unico imputato presente: Massimo Ciancimino. Il figlio di don Vito ha il merito di aver “risvegliato” la memoria a diversi politici e uomini di Stato che a distanza di anni si sono ricordati pezzi importanti di un mosaico che si sta componendo e che raffigura uno Stato-mafia degno di un paese del terzo mondo.
Uno Stato-mafia che finalmente finisce alla sbarra insieme a boss mafiosi di prima grandezza. Un risultato storico per la procura di Palermo che è stata capace di andare fino in fondo in un’indagine insidiosa, sotto il tiro incrociato di una politica corrotta che trasversalmente ha tentato di ostacolare gli inquirenti, per non parlare del massimo livello istituzionale rappresentato dal presidente della Repubblica la cui ingerenza si è fatta sentire pesantemente attraverso il conflitto di attribuzione da lui sollevato per le sue “famose” telefonate con Nicola Mancino. Il gup Morosini si è dimostrato una volta di più un giudice integerrimo, capace di applicare con coraggio e onestà  il principio sacrosanto della legge uguale per tutti. E’ una grande vittoria per l’impianto accusatorio istruito da Antonio Ingroia insieme a Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, con il coordinamento di Vittorio Teresi subentrato ad Antonio Ingroia da alcuni mesi.  Una vittoria che apre la strada al processo del secolo. Che sarà indubbiamente un procedimento in salita, ma che ha tutte le potenzialità per riscrivere la storia della nostra Repubblica liberandola dalle menzogne di tanti rappresentanti delle istituzioni, veri e propri mandanti esterni delle stragi del ’92 e del ‘93. In aula c’è anche Salvatore Borsellino, alla notizia del rinvio a giudizio osserva attentamente il gup e i pubblici ministeri mantenendo calma e sangue freddo. Nella sua estenuante richiesta di giustizia e verità si sta aprendo un nuovo spiraglio di luce parallelo a quello che si è aperto grazie al nuovo processo per la strage di via D’Amelio che sta iniziando a Caltanissetta. Nel decreto che dispone il rinvio a giudizio Morosini specifica come l’impianto accusatorio si articoli su determinati punti in relazione ai quali vengono indicati gli “elementi idonei” a sostenere l’accusa in giudizio.  Viene quindi confermata l’esistenza di un “piano destabilizzante di ‘ricatto allo Stato’ ideato dalla organizzazione denominata Cosa Nostra e portato ad estrinsecarsi in una serie di gravi attentati, per indurre le istituzioni a concessioni sul piano del trattamento penitenziario (art.41 bis OP) e al ridimensionamento della azione repressiva antimafia (legislazione sui collaboratori di giustizia, sulla aggressione ai patrimoni mafiosi, sulle misure cautelari in materia di associazioni di stampo mafioso)”. Allo stesso modo viene confermato che la realizzazione del suddetto piano inizia con l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima e successivamente prosegue con le stragi del 1992 e del 1993 e il fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma del 1994. E’ del tutto avvalorata “la percezione della minaccia mafiosa da parte degli organi dello Stato preposti alla prevenzione e alla repressione del crimine mafioso, a partire dall’omicidio dell’onorevole Salvatore Lima”. Resta infine confermata “la conseguente sussistenza di condotte poste in essere da pubblici ufficiali ed esponenti politici di primo piano che, in violazione dei doveri inerenti la pubblica funzione svolta, instaurano un ‘dialogo’ non autorizzato dalle leggi dello Stato, anche attraverso alcuni intermediari, finalizzato alla concessione di benefici per l’organizzazione in cambio della interruzione della strategia criminosa, così ingenerando negli associati mafiosi la convinzione che gli attentati eclatanti pagano”. “Quella di oggi è la decisione di un giudice terzo particolarmente preparato e rigoroso – ha dichiarato Nino Di Matteo –, questo costituisce la riprova che molte critiche mosse all'indagine erano preconcette e, a volte, in malafede. La decisione di oggi è per noi uno stimolo ulteriore ad approfondire anche tutti i temi di indagine residui a carico di altre persone collegati all'inchiesta sulle stragi mafiose e sul periodo relativo al passaggio tra la prima e la seconda Repubblica. Le indagini proseguiranno”. Dal canto suo Vittorio Teresi ha ribadito che “molti adesso si dovranno vergognare e chiedere scusa”. “Quella di oggi – ha sottolineato il procuratore aggiunto di Palermo – è una tappa fondamentale di un processo difficile non solo tecnicamente, ma che non godeva dei favori del mondo giuridico. Molti hanno detto che non capivano i capi d'accusa, che erano delle assurdità. In questa 'battaglia' ci siamo sentiti soli. Io raccolgo allori che non sono miei, ma dei colleghi che hanno lavorato a questo processo. Oggi finalmente è arrivato un meritato riconoscimento della dignità giudiziaria di una linea molto grave”. “Per assurdo anche se rinviato a giudizio sono molto contento – ha dichiarato Massimo Ciancimino –. Il mio sacrificio per dar vita a questo processo ha trovato fondamento”. “La decisione di rinvio a giudizio che conferma in pieno la ricostruzione della Procura – ha evidenziato Antonio Ingroia –, attesta la bontà di un'indagine fondamentale per il Paese, portata avanti con convinzione nonostante gli insulti e le accuse infamanti che io e i colleghi del pool abbiamo dovuto subire. La decisione del giudice terzo, tra i più autorevoli e competenti, ristabilisce la realtà delle cose e direi che di fronte all'enormità della prova che lo Stato italiano ha trattato con la mafia mentre c'erano ancora per le strade i detriti delle stragi, un Parlamento responsabile risponderebbe istituendo immediatamente una commissione d'inchiesta sulla trattativa. Speriamo che finalmente i tanti che hanno pontificato contro questa indagine abbiano il buon gusto di tacere o quantomeno di chiedere scusa”. Non saranno certo uomini di potere di ieri e di oggi che taceranno o chiederanno scusa, ma il risultato di vederli alla sbarra accanto a boss mafiosi rappresenta un primo passo verso la verità.

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lunedì 4 marzo 2013

Berlusconi, petizione di Micromega: “Fuori dal Parlamento. Non è eleggibile”

Una campagna per cacciare Silvio Berlusconi dal Parlamento italiano. Le prime firme sono Vittorio Cimiotta, Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Dario Fo, Margherita Hack, Franca Rame, Barbara Spinelli. "E' concessionario di frequenze televisive" e per la legge 361 del 1957 non potrebbe aspirare a un seggio.
da Il Fatto Quotidiano.
Una petizione per cacciare Silvio Berlusconi dal Parlamento italiano. E’ Micromega che la lancia chiedendo una firma on line sul sito. Le prime firme sono Vittorio Cimiotta, Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Dario Fo, Margherita Hack, Franca Rame, Barbara Spinelli
Ecco il testo dell’appello. “Berlusconi non era e non è eleggibile. Lo stabilisce la legge 361 del 1957, che è stata sistematicamente violata dalla Giunta delle elezioni della Camera dei deputati.
Nel 1994 (maggioranza di centro-destra) e nel 1996 (maggioranza di centro-sinistra, primo governo Prodi), un comitato animato da Vittorio Cimiotta (“Giustizia e libertà”) e composto da Roberto Borrello, Giuseppe Bozzi, Paolo Flores d’Arcais, Alessandro Galante Garrone, Ettore Gallo, Antonio Giolitti, Paolo Sylos Labini, Vito Laterza, Enzo Marzo, Alessandro Pizzorusso, Aldo Visalberghi, e sostenuto da una campagna stampa del settimanale “l’Espresso”, organizza i ricorsi dei cittadini elettori, ricorsi che vengono respinti dalla Giunta delle elezioni della Camera (con l’unico voto in dissenso dell’on. Luigi Saraceni, che il centro-sinistra non confermerà nella Giunta del 1996) con la motivazione che l’articolo 10 comma 1 della legge dichiara in effetti che non sono eleggibili “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica”, ma che “l’inciso ‘in proprio’ doveva intendersi ‘in nome proprio’, e quindi non applicabile all’on. Berlusconi, atteso che questi non era titolare di concessioni televisive in nome proprio”.
“Palese interpretazione da azzeccagarbugli, poiché come scrisse il presidente emerito della Corte Costituzionale Ettore Gallo ‘ciò che conta è la concreta effettiva presenza dell’interesse privato e personale nei rapporti con lo Stato’. Tanto è vero che la “legge Mammì” del 6 agosto 1990, n° 223 sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato stabiliva all’art. 12 il “Registro nazionale delle imprese radiotelevisive” e all’art. 17 comma 2 precisava che “qualora i concessionari privati siano costituiti in forma di società per azioni ecc. … la maggioranza delle azioni aventi diritto di voto e delle quote devono essere intestate a persone fisiche, o a società ecc. … purché siano comunque individuabili le persone fisiche che detengono o controllano le azioni aventi diritto al voto”.
“MicroMega decide perciò di riprendere quella battaglia di legalità ormai ventennale attraverso due iniziative: un appello di un gruppo di personalità della società civile, sui cui raccogliere on line le adesioni di tutti i cittadini (con l’obiettivo di migliaia e migliaia di firme), e il fac-simile del ricorso, che potrà essere attivato da ogni elettore del collegio senatoriale per il quale opterà Berlusconi. Nell’ultimo giorno valido (20 giorni a partire dalla proclamazione degli eletti), MicroMega organizzerà la consegna di massa dei ricorsi alla Presidenza e alla Giunta delle elezioni del Senato”.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/01/berlusconi-petizione-di-micromega-fuori-dal-parlamento-non-e-eleggibile/516927/.