Programma di Alternativa-Politica

venerdì 30 novembre 2012

È etico pagare il debito?

di Alex Zanotelli - il dialogo

Ho riflettuto a lungo come cristiano e come missionario, nonchè come cittadino, sulla crisi economico-finanziaria che stiamo attraversando, e sono riandato alla riflessione che noi missionari avevamo fatto sul debito dei paesi impoveriti del Sud. Per noi i debiti del Sud del mondo erano ‘odiosi’ e ‘illegittimi’ perché contratti da regimi dittatoriali per l’acquisto di armi o per progetti 

E quindi non si dovevano pagare! “È immorale per noi paesi impoveriti pagare il debito,” -così affermava Nyerere, il ‘padre della patria‘ della Tanzania, in una conferenza che ho ascoltato nel 1989 a Nairobi (Kenya). “Quel debito - spiegava Nyerere - non lo pagava il governo della Tanzania, ma il popolo tanzaniano con mancanza di scuole e ospedali.” La nota economista inglese N.Hertz nel suo studio Pianeta in debito, affermava che buona parte del debito del Sud del mondo era illegittimo e odioso.
Perché abbiamo ora paura di applicare gli stessi parametri al debito della Grecia o dell’Italia? Nel 1980, il debito pubblico italiano era di 114 miliardi di euro, nel 1996 era salito a 1.150 miliardi di euro ed oggi a quasi duemila miliardi di euro. “Dal 1980 ad oggi gli interessi sul debito - afferma F.Gesualdi - hanno richiesto un esborso in interesse pari a 2.141 miliardi di euro!” Lo stesso è avvenuto nel Sud del mondo. Dal 1999 al 2004 i paesi del Sud hanno rimborsato in media 81 miliardi di dollari in più di quanto non ne avessero ricevuto sotto forma di nuovi prestiti.
È la finanziarizzazione dell’economia che ha creato quella ‘bolla finanziaria’ dell’ attuale crisi. Una crisi scoppiata nel 2007-08 negli USA con il fallimento delle grandi banche, dalla Goldman Sachs alla Lehman Brothers, e poi si è diffusa in Europa attraverso le banche tedesche che ne sono state i veri agenti, imponendola a paesi come l’Irlanda, la Grecia…”Quello che è successo dal 2008 ad oggi - ha scritto l’economista americano James Galbraith - è la più gigantesca truffa della storia.”
Purtroppo la colpa di questa truffa delle banche è stata addossata al debito pubblico dei governi allo scopo di imporci politiche di austerità e conseguente svendita del patrimonio pubblico. Queste politiche sono state imposte all’Unione Europea dal ‘Fiscal Compact’ o Patto Fiscale, firmato il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 capi di Stato della UE. Con il Fiscal Compact si rendono permanenti i piani di austerità che mirano a tagliare salari, stipendi, pensioni, a intaccare il diritto al lavoro, a privatizzare i beni comuni. Per di più impone il pareggio in bilancio negli ordinamenti nazionali. I governi nazionali dovranno così attuare, nelle politiche di bilancio, le decisioni del Consiglio Europeo, della Commissione Europea e soprattutto della Banca Centrale Europea(BCE) che diventa così il vero potere ’politico’ della UE. Il potere passa così nelle mani delle banche e dei mercati. La democrazia è cancellata. L’ ha affermato la stessa Merkel: ”La democrazia deve essere in accordo con il mercato”. Siamo in piena dittatura delle banche.
È il potere finanziario che ha imposto come presidente della BCE, Mario Draghi, già vicepresidente della Goldman Sachs, (fallita nel 2008!) e a capo del governo italiano Mario Monti, consulente della Goldman Sachs e Coca-Cola, nonché membro nei consigli di amministrazione di Generali e Fiat. (Monti fa parte anche della Trilaterale e del Club Bilderberg). Nel governo Monti poi molti dei ministri siedono nei consigli di amministrazione dei principali gruppi di affari della Penisola: Passera, ministro dello Sviluppo Economico, è amministratore delegato di Intesa San Paolo; Fornero, ministro del lavoro, è vicepresidente di Intesa San Paolo; F. Profumo, ministro dell’istruzione è amministratore di Unicredit Private Bank e di Telecom Italia; P.Gnudi, ministro del Turismo, è amministratore di Unicredit Group; Piero Giarda, incaricato dei Rapporti con il Parlamento, è vicedirettore del Banco Popolare e amministratore di Pirelli. Altro che ‘governo tecnico’: è la dittatura della finanza!
Infatti sotto la spinta di questo governo delle banche, il Parlamento italiano ha votato il ‘Patto Fiscale’, il Trattato UE che impone di ridurre il debito pubblico al 60% del PIL in vent’anni. Così dal 2013 al 2032, i governi italiani, di destra o sinistra che siano, dovranno fare manovre economiche di 47-48 miliardi di euro all’anno, per ripagare il debito. “Noi italiani siamo polli in una macchina infernale - commenta giustamente F.Gesualdi - messa a punto dall’oligarchia finanziaria per derubarci dei nostri soldi con la complicità della politica”. E ancora più incredibile è il fatto che sia stato proprio il Parlamento, massima istituzione della democrazia, a mettere il sigillo “a una interpretazione del tutto errata della crisi finanziaria, ponendola nell’eccesso di spesa dello Stato, soprattutto della spesa sociale - così pensa L. Gallino. La crisi, nata dalle banche, è stata mascherata da crisi del debito pubblico”.
Il problema non è il debito pubblico (anche se bisogna riflettere per capire perché siamo arrivati a tali cifre!), ma il salvataggio delle banche europee che ci è costato almeno 4mila miliardi di dollari, a detta dello stesso presidente della UE, Barroso (Sembra che il salvataggio delle ‘banche americane’ fatto da Obama sia costato su 14mila miliardi di dollari!) .
È chiaro che non possiamo accettare né il Patto fiscale della UE, né la sua ratifica fatta dal Parlamento italiano, né la modifica costituzionale dell’articolo 81, perché a pagarne le spese sarà il popolo italiano.
C’è in Europa una nazione che ha scelto un’altra strada: l’Islanda. La nostra stampa non ne parla. L’Islanda pittosto che salvare le banche (non avrebbe neanche potuto farlo, dato che i suoi debiti si erano gonfiati fino a dieci volte del suo PIL!), ha garantito i depositi bancari della gente ed ha lasciato il suo sistema bancario fallire, lasciando l’onere ai creditori del settore piuttosto che ai contribuenti. E la tutela del sistema di welfare, come scudo contro la miseria per i disoccupati, ha contribuito a riportare la nazione dal collasso economico verso la guarigione. È vero che l’Islanda è un piccolo paese ma può aiutarci a trovare una strada per tentare di uscire dalla dittatura delle banche 
Per questo suggeriamo alcune piste per una seria riflessione e conseguente azione:
  1. Richiesta di una moratoria per il pagamento del debito pubblico;
  2. Indagine popolare (audit) sulla formazione del nostro debito pubblico allo scopo di annullare la parte illegittima, rifiutando di pagare i debiti ‘odiosi’ o ‘illegittimi’, come ha fatto l’Ecuador di R. Correa nel 2007;
  3. Sospensione dei piani di austerità che, oltre essere ingiusti, fanno aumentare la crisi;
  4. Divieto di transazioni finanziarie con i paradisi fiscali e lotta alla massiccia evasione fiscale delle grandi imprese e degli straricchi;
  5. Messa al bando dei ‘pacchetti tossici’ e della speculazione finanziaria sul cibo;
  6. Divisione delle banche ‘troppo grandi per fallire’ in entità più controllabili, imponendo una chiara distinzione tra banche commerciali e banche di investimento;
  7. Apertura di banche di credito totalmente pubbliche,
  8. Imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie per la ‘tracciabilità’ dei trasferimenti e un’altra sui grandi patrimoni;
  9. Rifondazione della BCE riportandola sotto controllo politico (democratizzazione), consentendole di effettuare prestiti direttamente ai governi europei a tassi di interesse molto bassi.
Sono solo dei suggerimenti per preparare un piano serio ed efficace per uscire dalla dittatura delle banche.
Per chi è interessato alle campagne in atto per un’altra uscita dal debito, consulti: smonta il debito, www.cnms.it.; rivolta il debito, www.rivoltaildebito.it; no debito, www.nodebito.it.
Se ci impegniamo, partendo dal basso e mettendoci in rete, a livello italiano ed europeo, il nuovo può fiorire anche nel vecchio Continente.
Da parte mia rifiuto di accettare un Sistema di Apartheid mondiale dove il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse: un pianeta con un miliardo di obesi tra i ricchi, e un miliardo di affamati tra gli impoveriti, e dove ogni minuto si spendono tre milioni di dollari in armamenti e nello stesso minuto muoiono per fame la morte di quindici bambini.
Il mercato, la dittatura della finanza si trasformano allora “in armi di distruzione di massa”, dice giustamente J. Stiglitz, premio Nobel dell’economia. “Il potere economico-finanziario lascia morire - afferma F. Hinkelammert - e il potere politico esegue…. Entrambi sono assassini.”
Diamoci da fare perché vinca invece la vita!
Alex Zanotelli
Napoli, 18 novembre 2012


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lunedì 26 novembre 2012

Robot in guerra: troppe vittime civili con le armi “intelligenti” e i droni

La denuncia di Human Rights Watch in uno studio realizzato con l’Università di Harvard secondo cui l’introduzione di mezzi militari dotati di intelligenza artificiale mette a rischio l’incolumità dei civili e viola la Convenzione di Ginevra

di | 25 novembre 2012

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Dall’Afghanistan ai territori occupati in Palestina, l’utilizzo dei droni (velivoli senza pilota, ndr) per eseguire attacchi “mirati” è una pratica costante, così come lo è il conto delle vittime civili coinvolte negli attacchi portati dagli aerei comandati a distanza. Nel futuro lo scenario potrebbe però peggiorare, con l’utilizzo di armi completamente autonome in grado di portare a termine gli attacchi senza l’intervento umano o addirittura capaci di decidere quando e come agire sul campo di battaglia.

A denunciare il rischio della “disumanizzazione della guerra” è un rapporto pubblicato da Human Rights Watch, intitolato ‘Losing Humanity’. Il rapporto, realizzato in collaborazione con un gruppo di studio della School of Law dell’Università di Harvard, affronta la questione dei cosiddetti “robot da guerra” chiedendo che ne sia immediatamente proibito lo sviluppo. Uno scenario fantascientifico? Per niente. La realizzazione di armi da guerra robotiche completamente autonome, infatti, è una possibilità che si potrebbe concretizzare nel giro di 15 anni. Uno scenario che i vertici militari vedono come “auspicabile”, ma che preoccupa gli attivisti per i diritti civili. Per quanto evoluta, denunciano nello studio, una macchina non potrà mai avere una capacità di giudizio paragonabile a quella di un essere umano in carne e ossa. La macchina difetta di empatia, intuito e, soprattutto, di compassione. Insomma: l’introduzione di armi “troppo intelligenti” rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza dei civili coinvolti negli scenari di guerra, oltre che una violazione delle prescrizioni contenute nella Convenzione di Ginevra.

Un futuro molto vicino – Scorrendo il rapporto, disponibile integralmente in lingua inglese sul sito di Human Rights Watch, è facile realizzare come le preoccupazioni legate ai “robot da guerra” siano tutt’altro che campate per aria. A confermare l’attualità della questione non sono solo gli estratti dai documenti ufficiali dell’esercito Usa, nei quali si parla dei progetti in corso d’opera per la realizzazione di strumenti di attacco e difesa “sempre più autonomi”, ma gli esempi concreti documentati riguardanti armamenti già in uso in mezzo mondo. I sistemi di difesa automatici, infatti, sono utilizzati ampiamente dagli eserciti Usa e dai suoi alleati fin dagli anni ‘80. Uno dei primi a essere impiegati è stato il Phalanx, un sistema installato sulle navi da guerra e in grado di intercettare missili o velivoli nemici rispondendo all’aggressione con un volume di fuoco di 3000-45000 colpi al minuto. La versione “terrestre” del sistema è stata invece utilizzata per la prima volta nel 2005 in Iraq.

Per restare all’attualità, il rapporto cita i sistemi automatici utilizzati per la difesa del confine tra Israele e la striscia di Gaza. Le Sentry Tech in dotazione alle forze di difesa israeliane (Idf), sono torrette mobili in grado di rilevare movimenti nell’area sorvegliata e inviare i segnali a una postazione remota. Le armi con cui sono equipaggiate permettono di colpire un bersaglio a una distanza di un chilometro e mezzo, ma tra i progetti dell’esercito israeliano c’è anche quello di utilizzare dei missili anti carro che avrebbero una gittata di diversi chilometri. Tecnicamente, l’ordine di sparare viene dato da un militare addetto al controllo del dispositivo. Rilevazione e puntamento, però, sono completamente automatici. Un sistema simile è stato adottato dalla Corea del Sud, per il controllo della zona demilitarizzata al confine con i suoi vicini del nord. In questo caso l’equipaggiamento delle torrette robot SGR-1, del costo di 200mila dollari l’una, prevede mitragliatrici da 5.5 mm o, in alternativa, un lancia granate da 40 mm. Tutti armamenti che, in ogni caso, potrebbero colpire più o meno direttamente i civili presenti nell’area.

Il fattore umano - Nei sistemi di difesa automatici, prima che il sistema apra il fuoco è necessario che un operatore certifichi il bersaglio. Un’operazione che richiede di prendere una decisione in pochi secondi e che, secondo il giornalista ed esperto di questioni militari Peter Singer, è soggetta a una sorta di “pregiudizio automatico”: in pratica, la capacità di giudizio viene influenzata dalla segnalazione della macchina e l’operatore che deve agire in tempi stretti tende ad assecondare il giudizio del computer piuttosto che effettuare una valutazione indipendente. In futuro, però, le cose potrebbero cambiare, e in peggio. Il punto di non ritorno indicato da Human Rights Watch è quello che si raggiungerà con l’utilizzo di mezzi “completamente autonomi”, le cui azioni saranno determinate da sistemi di intelligenza artificiale. Uno scenario in cui la presenza di civili, nemici feriti o pronti ad arrendersi difficilmente troveranno posto nelle routine di sistema delle armi di nuova generazione. Guardium è un sistema terrestre senza pilota utilizzato dall’esercito israeliano per le operazioni di pattugliamento lungo i confini di Gaza. Si tratta di un mezzo “semi-autonomo” che, secondo quanto riportato nella brochure del produttore, è in grado di reagire a “eventi imprevisti”, utilizzando strumenti offensivi. Il vero anello di congiunzione tra i sistemi automatici di difesa e i “robot da guerra” sarebbe però l’X-47B, un drone in grado di decollare, eseguire una missione e riatterrare su una portaerei senza che sia necessario alcun intervento umano. Il prototipo su cui le forze Usa stanno lavorando non è equipaggiato con armamenti, ma ha già due alloggiamenti utilizzabili per le armi con una capacità di 4.500 libbre. Qualcosa di simile è stato sviluppato anche nel Regno Unito: si chiama Taranis ed è descritto come “un drone stealth autonomo, in grado di colpire bersagli a lungo raggio anche in un altro continente”. La creazione del “robot da guerra” paventata da HRW non è poi così lontana.

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Per una giustizia e un’etica planetarie...

L'intervento di Roberto Scarpinato
Al 20° convegno del Centro Balducci
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Roberto Scarpinato
Procuratore Generale di Caltanissetta
Per una giustizia e un’etica planetarie: nella memoria viva dei 20 anni di padre Ernesto Balducci; di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; delle altre vittime delle stragi di Capaci e via d’Amelio e di tutte le vittime delle mafie
 
Come ha ricordato Pierluigi, questo è il terzo anno di seguito che il Centro Balducci mi invita a partecipare alla sua manifestazione e per me questi incontri sono diventati un’occasione per condividere con voi gli interrogativi e le impressioni sul tema di Dio e sul senso della vita, della morte, sulla possibilità di creare un mondo più giusto, interrogativi che mi hanno accompagnato e mi hanno travagliato nel corso della mia lunga esperienza di magistrato antimafia.
Ho trascorso gli ultimi venticinque anni della mia vita a Palermo, una città che, nell’immaginario collettivo, è percepita più come un luogo simbolo che trascende la dimensione puramente geografica, come la capitale della mafia, come la patria elettiva degli assassini, come epicentro di un impero del male contro cui nel tempo si sono schierati, venendone inesorabilmente travolti, alcuni solitari paladini del bene di cui si onora la memoria.
Eppure questo luogo simbolo, oltre a essere stato uno degli epicentri dell’impero del male, è stato per me una delle più importanti fucine di formazione etica di questa nazione. Un luogo nel quale intere generazioni sono state costrette a misurarsi con i grandi temi della vita. Proverò a spiegare il senso di questa contraddizione.
Vedete, a Palermo la protagonista occulta della vita cittadina è stata la morte. Quasi non vi è strada, non vi è crocevia, non vi è piazza dove non sia stato consumato un omicidio, un assassinio, una strage. La città è disseminata di lapidi e di targhe che ricordano che qui è stato ucciso un magistrato con la sua scorta, qui un prefetto, qui un poliziotto, qui una persona che ha avuto il coraggio di testimoniare in un processo di mafia, qui un prete e via di seguito con una triste contabilità della morte che quasi non ha fine. Ma anche dove mancano lapidi e targhe, la memoria collettiva degli abitanti dei luoghi conserva tracce indelebili di sparatorie, di corpi crivellati, squarciati dall’esplosivo, di donne piangenti dinnanzi e cadaveri, di volti attoniti e smarriti.
L’anno scorre tra la partecipazione a una messa in ricordo delle vittime e un’altra, una continua commemorazione che si snoda quasi senza interruzione di continuità. Ma la morte è stata protagonista della vita cittadina non solo per i tanti lutti del passato, ma anche perché ha abitato continuamente, e spesso segretamente, la mente e il cuore dei vivi come una minaccia costante. Mi riferisco a coloro che sono rimasti in vita e che tuttavia per anni, per decenni hanno dovuto convivere col pensiero della propria morte, temendo di essere uccisi perché avevano osato ribellarsi alla mafia. Mi riferisco ai tanti che, invece, hanno ceduto alle richieste della mafia e che talora ne sono divenuti complici e che prima di addivenire a questo passo hanno immaginato la propria morte, se non fossero stati arrendevoli, ed hanno rivisto nella propria mente mille volte il film della morte di altri che erano stati più coraggiosi e più onesti di loro. Mi riferisco agli stessi assassini, ai somministratori di morte che convivono quotidianamente con la consapevolezza di poter essere uccisi a loro volta, spesso – come mi hanno confessato – con il ricordo dell’ultimo sguardo delle loro vittime.
 

venerdì 23 novembre 2012

Parco Dolomiti friulane, la chiusura è vicina

TRIESTE - Il Parco delle Dolomiti friulane rischia di chiudere. “Stiamo attraversando un periodo economico difficile. Tutti lo sanno. Ma non credevamo che la tutela del territorio montano, già svantaggiato per mille altri motivi, vedersi azzerate le poste di bilancio regionale. È irragionevole”.


Preoccupati dall’azzeramento dei fondi previsti per i Parchi naturali nella proposta di bilancio adottata dalla Giunta regionale, i presidenti delle due maggiori aree protette del Friuli Venezia Giulia hanno chiesto e ottenuto un incontro con l’assessore regionale competente, Claudio Violino.

Alla riunione, tenutasi a Trieste, era presente anche il consigliere regionale Maurizio Salvador, la direttrice del Servizio caccia, risorse ittiche e biodiversità, Marina Bortotto, e i due direttori degli Enti Parco. A conoscenza dell’incontro e particolarmente interessati anche i consiglieri Cacitti, Baritussio, Della Mea, Menis, Colussi e Corazza.

I presidenti, Stefano Di Bernardo per il Parco Prealpi Giulie e Luciano Pezzin per il Parco Dolomiti Friulane, hanno a palesato il loro disappunto per la scelta compiuta. Hanno ricordato il ruolo giocato dai due Parchi per la conservazione della natura e la promozione di forma di sviluppo sostenibile fin dalla loro istituzione. In particolare hanno sottolineato come la mancanza di trasferimenti regionali metta a rischio non solo la funzionalità dei due Enti ma anche i posti di lavoro sia del personale dipendente, sia di quanti lavorano attraverso cooperative o società, o con contratti di collaborazione, per la gestione attiva del territorio.

Violino ha illustrato la complessa situazione del bilancio regionale: i finanziamenti sono passati da 67 a 19 milioni. Ha comunque dato disponibilità a rivedere l'inserimento delle poste specifiche nel bilancio (per evitare di chiudere servirebbero, in totale, almeno 1,7 milioni di euro), ma ha rammentato che dovrà essere il Consiglio regionale a dare un chiaro segnale economico.

Chiudere il parco significa che tutte le attività esistenti non saranno più possibili e che la manutenzione non sarà attivata. Gli escursionisti esperti potranno continuare ad andare all’interno, ma famiglie, scuole e turisti occasionali saranno bloccati dall’assenza di servizi.

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giovedì 22 novembre 2012

Il Venezuela và!

Un modello di democrazia partecipativa. Il Presidente Hugo Chavez Frias sottopone alla consultazione popolare il Secondo Piano Socialista della Nazione per il periodo 2013-2019.

Per la prima volta un governo chiede ai suoi cittadini, senza discriminazione di credo politico o di genere, di pianificare e di eseguire insieme le politiche di approfondimento e consolidamento del socialismo.

Nello scorso mese di giugno il Presidente Hugo Chavez Frias, subito dopo la sua candidatura alle elezioni presidenziali, aveva presentato il Secondo Piano Socialista come programma di governo per il periodo 2013-2019; subito dopo la sua clamorosa affermazione, aveva informato che il 10 gennaio 2013, giorno del suo giuramento come Presidente, lo avrebbe presentato all’Assemblea Nazionale per la sua discussione e approvazione o respingimento, secondo quanto stabilito dalla Costituzione.
Il Secondo Piano Socialista prevede cinque obiettivi storici che sono quelli di difendere e consolidare l’indipendenza nazionale; continuare nella costruzione di una patria socialista come alternativa al sistema distruttivo e selvaggio del capitalismo; convertire il Venezuela in una potenza sociale, economica e politica in America Latina e nel Caribe; contribuire allo sviluppo di una nuova Geopolitica Internazionale che permetta di raggiungere l’equilibrio dell’Universo e garantire così la pace; preservare la vita del pianeta e salvare la specie umana.

Per ognuno di questi punti vengono esplicitate decine e decine di proposte che sono il fondamento stesso del programma di governo per il periodo 2013-2019 che, prima del passaggio parlamentare, sarà oggetto di dibattito, valutazione, proposte e modifiche da parte non solo delle organizzazioni politiche e dei movimenti sociali, ma anche di tutta la popolazione venezuelana, senza distinzioni politiche o discriminazioni di sorta, chiamata dal Presidente Chavez a partecipare al processo di approfondimento e consolidamento del socialismo bolivariano del XXI secolo e di crescita della nazione.

Per facilitare e garantire la massima partecipazione, i cittadini possono avvalersi di diverse modalità di intervento; si prevede infatti lo svolgimento di assemblee di dibattito all’interno delle comunità o nei consigli comunali; la disposizione di 13.600 punti rossi del PSUV-Partito Socialista Unito del Venezuela adibiti alla diffusione del programma e alla raccolta di proposte; la collocazione di 94 buche delle lettere “Pensa per la Patria” negli uffici postali dei 23 stati venezuelani, sempre per raccogliere suggerimenti; la costituzione di “Città del Dibattito” spazi aperti per la discussione; ed infine l’utilizzo di spazi digitali “La mia Patria nel WEB” per lo scambio, diffusione e raccolta di proposte.

Nel fine settimana del 9-11 novembre si sono svolte affollate e partecipate assemblee di dibattito in tutti gli stati sede di elezioni dei Governatori e dei Consigli Regionali il prossimo 16 dicembre, aperte a tutti, quale eccellente esempio di democrazia diretta dal basso; mentre nel fine settimana del 16-18 novembre hanno avuto luogo le “Città del Dibattito” che hanno visto l’intervento di migliaia di cittadini e soprattutto di giovani, coinvolti in prima persona come attori della democrazia partecipativa e protagonistica garantita dal governo bolivariano. Per esempio, nello stato di Miranda sono state avanzate molte proposte da parte dei giovani sulla necessità di predisporre politiche sul primo impiego, creare un centro di studi della gioventù ed includere la materia educazione per il lavoro nel curriculum, che sono state consegnate al candidato a Governatore Elías Jaua del PSUV, affinché siano integrate sia nel suo programma di governo che nel Piano Socialista della Nazione.

E’ questo un ennesimo esempio di democrazia di attiva partecipazione dal basso che dovrebbe far ammutolire i grilli parlanti dell’informazione mainstream e far impallidire i politici occidentali, paladini della “democrazia”, entrambe le categorie sempre pronte a definire dispregiativamente Chavez come dittatore e a criticare con lui anche gli altri Presidenti latino americani che non sono disposti, a differenza dei loro predecessori espressione delle oligarchie borghesi, ad accettare le imposizioni e i diktat degli organismi finanziari internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.

Ricordiamo che FMI e BM nell’ultimo ventennio del XX secolo, per concedere la rinegoziazione del debito estero, hanno preteso in cambio dai governi locali la privatizzazione dei servizi pubblici, delle aziende strategiche e le riforme del lavoro, tramite i PAS Piani di Aggiustamento Strutturale che hanno affossato le economie nazionali del continente sud americano e trascinato nella miseria e nell’esclusione sociale milioni di persone, esattamente come sta accadendo nei confronti dei paesi dell’Europa Mediterranea con l’ imposizione delle medesime “riforme strutturali”.

In Venezuela, dove da tredici anni, invece, si è iniziato il processo di transizione al socialismo, milioni di cittadini godono dei benefici degli utili petroliferi che, grazie alla nazionalizzazione della PDVSA Petróleos de Venezuela S.A., sono oggi investiti nel sociale per rafforzare l’evoluzione verso l’uguaglianza, l’indipendenza piena e lo sviluppo.

A oggi, secondo indicatori confermati dalla FAO, Unicef e Unesco, i quasi 500 miliardi di dollari investiti nelle politiche sociali si traducono in 2.000.000 di studenti che si laureeranno grazie alla Misión Sucre; 1.400.000 persone che hanno imparato a leggere e scrivere grazie alla Misión Robinson; 633.000 diplomati con la Misión Ribas; 1.700.000 vite salvate nel quadro della Misión Barrio Adentro; 11.000.000 di persone che beneficiano di una migliore alimentazione e qualità della vita grazie alla Misión Mercal; 2.200.000 anziani che oggi possono contare su una pensione di vecchiaia e 150.000 abitazioni che si sono costruite grazie alla Gran Misión Vivienda.

Nonostante tutte queste realizzazioni, il Presidente Hugo Chavez Frias è perfettamente consapevole della necessità di dovere continuare a progredire nella costruzione di un modello economico produttivo, orientato a smontare il modello depredatore e insostenibile del capitalismo, e definito il Socialismo Bolivariano del XXI secolo che cerca di “conquistare la maggiore somma di felicità possibile della nostra società, servendo la gente, secondo le sue capacità e necessità”.

Alternativa a fianco del popolo palestinese

Alternativa dà la sua piena solidarietà al popolo palestinese di Gaza, vittima dell’ennesima aggressione israeliana. Intento a promuovere primavere in giro per il mondo, a ingerirsi nelle rivolte siriane, ad accerchiare l’Iran, l’Occidente assiste colpevolmente passivo quando non partecipe a questo genocidio dilatato vissuto ormai come costante dei nostri tempi.
Spicca in particolare il silenzio del premio Nobel per la Pace 2012, quella Unione Europea davanti alle cui coste si compie l’ennesima sovradimensionata aggressione dell’esercito israeliano (71morti e 400 feriti civili secondo fonti israeliane ad oggi). Anche il nostro governo unisce il suo silenzio “tecnico” a quello del continente.
Invitiamo tutti i democratici invece a far sentire le loro voci perché l’ennesimo massacro non si compia nella totale assenza di indignata protesta.

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lunedì 19 novembre 2012

RBS: soluzione Grecia? Semplice, "cancellare tutto il debito"

Una svalutazione completa del debito e' l'unica soluzione per poter consentire ad Atene di rimanere nell'area euro (VIDEO intervento di Moorad Choudhry). "Atene ha bisogno di un terzo pacchetto di aiuti", per Asmussen (consiglio Bce).
 New York - Il discorso e' molto semplice: "se le autorita' politiche europee facessero veramente sul serio e volessero fare tornare a crescere l'economia del paese e permettere ad Atene di restare nell'area euro, allora dovrebbero cancellare tutto il debito sovrano".

La "dichiarazione del giorno" e' di Moorad Choudhry, numero uno della divisione 'business treasury, global banking & markets' dell'istituto britannico Royal Bank of Scotland. "Non riesco a immaginare un accordo sulla riduzione del debito greco questa settimana", ha detto ai microfoni dell'emittente CNBC.

Se cosi' non sara' fatto, "l'economia continuera' a contrarsi, sempre piu' persone verranno licenziate e non saranno in grado di aumentare le entrate fiscali". Il problema allora qual e'? Che "se sei il cancelliere tedesco con le elezioni alle porte ovviamente non ti augureresti uno scenario del genere".

Grazie a Mario Draghi e alle misure intraprese dalla Bce, "siamo usciti dal momento peggiore della crisi e la banca centrale ha in teoria gia' svalutato il debito della periferia dell'Eurozona. Pertanto non credo che arriveremo a una soluzione definitiva in autunno".

Restando in tema Banca Centrale Europea, il membro del consiglio direttivo Jorg Asmussen ha previsato che Atene ha assoluto bisogno di un terzo pacchetto di aiuti esterni".

"Probabilmente - ha detto a Reuters - la Grecia dopo il 2014 avrà bisogno di un altro piano di aiuti".

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lunedì 12 novembre 2012

Trani, la procura chiede 7 rinvii a giudizio per S&P e Fitch

Chiusa dopo due anni l'inchiesta per la presunta manipolazione del mercato da parte delle agenzie di rating. I pm chiedono il rinvio a giudizio per sette persone. Richiesta di archiviazione per altre due

di | 12 novembre 2012

lunedì 5 novembre 2012

Crisi e politica, analisti finanziari in piazza con i 5 Stelle: “L’Esm? Una trappola”

A Roma il Movimento chiama a raccolta gli attivisti per parlare di economia con due esperti fuori dal coro per i quali il debito pubblico non è Satana, lo spread un gigantesco equivoco, mentre il Fondo Salva Stati di Draghi è pericolosissimo. Scarano: "Nessuno ha spiegato che problemi potrebbe creare il Meccanismo europeo di stabilità"di Filippo Barone - Il Fatto Quotidiano.

Anche gli analisti finanziari nel loro piccolo si incazzano e scendono in piazza, caso più unico che raro, tra gli attivisti del Movimento cinque stelle. Formalmente per spiegare alla gente l’abc dell’economia – dallo spread al rating, come da locandina dell’appuntamento di oggi pomeriggio alle 16 a Roma, alla Sala Ouverture di via Tripoli, 22 – ma di fatto, la batteria di concetti che si portano dietro fa rumore.
Il debito pubblico? Non è da demonizzare. Il Fondo salva stati di Draghi? Pericolosissimo. Lo spread? Un gigantesco equivoco. E uscire dall’Euro? Una delle ipotesi da mettere sul tavolo.
Partiti dal comune di Galbiate in Lombardia, gli anomali analisti Alfonso Scarano e Paolo Sassetti, fanno tappa nella Capitale invitati da un uditorio altrettanto rumoroso, quello appunto del Movimento cinque stelle. 


“Il nemico da abbattere – secondo Scarano, analista indipendente già vicepresidente dell’Aiaf, l’Associazione italiana analisti finanziari – è l’omologazione di pensiero, anche e soprattutto in economia”.
E qual è il pensiero omologato da abbattere?“Per esempio questa crisi: dire che il problema della nostra situazione sia solamente il debito e si risolva abbattendo solamente il debito. La crisi è nata dalle banche e poi trasmessa all’economia e non può essere risolta se non si affronta il problema delle banche, dei loro conflitti di interesse e della complessità degli strumenti finanziari che hanno inquinato l’economia”.

Già, le banche, sempre loro, sembra ormai un tiro al piccione.“Se uno generalizza si. Il sistema bancario è un istituto prezioso per lo sviluppo economico e sociale, tanto da meritare una speciale tutela pubblica. Raccoglie il risparmio e fornisce credito, tutela e dà fiducia ai risparmiatori, incentiva e finanzia lo sviluppo delle imprese. Ma il mondo delle banche è diventato bicefalo, vi è la testa della banca vera – quella detta commerciale – e quella della banca falsa, la banca d’affari. Abbiamo spazzato via le regole che separavano questi due diversi mestieri consentendo la creazione di conglomerati con un permanete conflitto di interesse”.
Quanti siete nella finanza a pensarla così?“Noi non parliamo a nome della categoria degli analisti. Siamo solo un gruppo di amici, ma parliamo anche a nome di tanti che non possono uscire allo scoperto. Alcuni hanno lo stipendio bancario e quindi hanno il problema di non potersi esprimere liberamente. In comune molti di noi hanno la fiducia in Keynes, all’economista Federico Caffè, e una sostanziale perplessità sulla veridicità delle informazioni economiche diffuse, spesso troppo timide e soprattutto comode per chi questa crisi l’ha provocata e per chi non la sta risolvendo”.
Per esempio?“Il Meccanismo europeo di stabilità, nessuno ha spiegato che trappola potrebbe diventare. Vedo che Napolitano auspica una generica cessione di sovranità ma non racconta quanta cessione di sovranità sia stata già effettuata ratificando il meccanismo. Parliamo del fondo di stabilità, noto come ‘salva stati’ ,quello che dovrebbe diventare operativo da gennaio e che prevede una contribuzione da parte dell’Italia di 125 miliardi di euro per poi intervenire in caso di esplosione dello spread”. 
Cos’è che non va?“Da gennaio, quando diventerà operativo il fondo, le scelte della politica economica italiana saranno dettate da un soggetto di diritto privato per di più lussemburghese che potrà operare senza controlli e senza responsabilità”.
Messa così fa impressione.“Non altro rispetto a quanto previsto dagli articoli 32 e 35 dello statuto del Fondo che prevedono l’immunità per gli amministratori e la segretezza degli atti. E tutto ciò senza che nessuno ne sappia nulla e tanto meno se ne discuta”.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11/04/crisi-e-politica-analisti-finanziari-in-piazza-con-lm5s/402929/.






venerdì 2 novembre 2012

In che epoca siamo capitati?

di Pier Luigi Fagan
In questo piccolo saggio, riprendiamo la domanda che ci facevamo otto mesi fa [1]. Questo articolo riprende i temi oggetto della Relazione introduttiva dei lavori di analisi ed approfondimento del Consiglio Nazionale del Laboratorio politico-culturale Alternativa, tenutisi a Firenze il 27-28 Ottobre 2012. La domanda è: in quale contesto storico ci è dato di vivere ?
Ci sono generazioni che capitano in stabili pianure storiche in cui non succede nulla di significativo, in cui i sistemi umani riproducono senza perturbazioni significative le forme di cui sono composti. Ci sono generazioni come quella di mio padre (1901) che trascorrono l’adolescenza nella campagna veneta a ridosso del fronte di una Guerra mondiale per poi giungere nella maturità a vivere una Seconda guerra mondiale. Ad altri è toccato il Rinascimento, il Risorgimento o la Peste del ‘300.
Di solito, a meno di non nascere nel pieno dei fenomeni transitivi o dei picchi di frizione che le transizioni producono, si entra in queste fasi trasformative senza alcuna consapevolezza di ciò che sta per succedere. Si è avviluppati a gli avvenimenti e ci si trasforma sotto la dinamica di questi, con in genere scarsa consapevolezza o con la falsa consapevolezza data dall’uso di strumenti di pensiero maturati in contesti precedenti che riapplichiamo di default nell’illusione che le verità che contenevano siano prive di condizionamento spazio-temporale. Può allora valere la pena di prendere un paio d’ali e farsi un giretto in alto, dove la vista spazia su superfici più ampie e dove ciò che accade oggi si mette al centro di ciò che è successo giusto ieri e ciò che sembra potrebbe succedere, forse, domani. In una epoca in cui impazzano i GPS, vale la pena di tracciare il nostro punto-posizione in maniera meno semplificata, cioè più “complessa”.

MUTAZIONE DEMOGRAFICA

 Le considerazioni demografiche sono quasi sempre avversate da una critica anti-malthusiana. Ma forse dovremmo imparare a dividere dati ed interpretazioni perché queste ultime non sono possibili solo in ottica malthusiana. Tra le tante cose che dobbiamo consegnare al ricordo storico c'è anche questo monismo tanto dell’interpretazione, quanto della sua critica. Leggiamo dunque i dati della demografia mondiale [2] senza per questo affrettare considerazioni sulla sovrappopolazione che non abbiamo in animo di fare, non è con questa intenzione che li citiamo .
Dal 1900 ad oggi la popolazione del mondo è cresciuta del 333%, è cresciuta cioè di tre volte in un secolo. Ma gran parte di questo incremento si è verificato nei ultimi, soli, 60 anni: quasi +180%, quasi un raddoppio in poche decine di anni. La “nazionalizzazione delle masse” [3] ha formattato i popoli poiché la forma stato-nazionale che al 1950 contava circa 50 entità, oggi ne conta più di 200. 

Non vi è dubbio alcuno sul fatto che, quando un insieme biologico cresce il suo volume di così tanto in così poco tempo, è la struttura stessa di questo insieme, più tutti i sottosistemi che lo compongono, a doversi riaccordare in una nuova forma generale.
Se poi questo volume sistemico, non è solo biologico, ma bio-politico-economico-culturale, l’indice di complessità dei fenomeni cresce esponenzialmente.
Più ancora delle cifre assolute sono interessanti quindi le cifre relative, cioè le cifre di cosa è successo ai diversi sistemi cultural-continentali, rispetto alla loro storia precedente e soprattutto rispetto ai loro reciproci precedenti rapporti. I sudamericani si sono sestuplicati, gli africani quasi quintuplicati, nord americani ed asiatici triplicati, gli europei (includendo l’Europa occidentale, quella orientale ed addirittura i russi) sono cresciuti, sì, ma solo a due cifre, del 78%. La Grande Europa che ad inizio secolo pesava per un quarto del mondo, oggi si è ridotta di meno della metà, dal 25% del totale mondo, al 12%.
Se scorporiamo le nazioni occidentali (EU occidentale, Nord America, Oceania anglosassone ed anche se è improprio il Giappone) che allora dominavano il mondo, scopriamo che anche qua il peso si è drasticamente dimezzato, l’Occidente o l’insieme delle nazioni a capitalismo avanzato da un quarto del mondo sono oggi poco più di un decimo. Le previsioni per gli immediati prossimi decenni accentuano i trend: asiatici ed africani saranno l’80% del mondo, 90% con i sudamericani. Un secolo fa erano il 70%. Gli europei sono i più anziani per età media, i più longevi per aspettativa di vita, sono in generale contrazione demografica, Russia, Germania, Spagna, Grecia ed Italia, sono i paesi dove questi indici sono più estremi. L’Italia è seconda solo al Giappone come aspettativa di vita (cioè come paese dei più anziani) e penultima prima del Giappone per indice di natalità. Ci stiamo semplicemente contraendo ed invecchiando sempre di più in un mondo giovane ed in espansione.