Programma di Alternativa-Politica

giovedì 24 gennaio 2013

Taranto: le bugie dell'Ilva e la realtà dei fatti

di Girolamo De Michele - Carmilla.

Prima di leggere questo intervento, ascoltate le parole di questo medico, Giuseppe Merico, nella puntata del1 dicembre 2012 di Ambiente Italia (RAI3) [qui: l'intervista comincia al minuto 01:40]: parla di diossina nel latte materno, di bambini a cui viene diagnosticato un tumore – della diagnosi di un tumore alla prostata a un neonato di 3 giorni. È un'intervista rilasciata nei giorni della presentazione del decreto salva-Ilva (dl 3 dicembre 2012 n. 207 convertito in legge 24 dicembre 2012 n. 231), la legge ad aziendam che consente all'Ilva di continuare le proprie attività, e sulla quale pende il giudizio della Corte Costituzionale dopo il ricorso del Tribunale di Taranto. Con le parole di Adriano Sansa, ex sindaco di Genova e attuale presidente del Tribunale dei minori del capoluogo ligure (sempre nella stessa puntata di Ambiente Italia, al minuto 14:40):
«Noi stiamo accettando collettivamente l'alta probabilità (in diritto si chiama "dolo eventuale") che alcune persone - non ne conosciamo i volti ma sappiamo che esistono, a Taranto, adesso, adulti e bambini - si ammaleranno e moriranno per via di queste emissioni e dell'esenzione che viene autorizzata».Questo è lo scenario su cui scorrono le notizie degli ultimi giorni, e in base al quale il governo oggi, martedì 21 gennaio, emanerà «un provvedimento che consenta di sbloccare la situazione».

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Monte dei Paschi, ancora il debito contro il lavoro

Nel 1935, Ezra Pound poteva ancora citare il Monte dei Paschi di Siena come esempio di "un sistema bancario sano", in quanto "i suoi profitti dovevano andare a ospedali ed opere a beneficio del popolo di Siena". Dai primi anni Novanta, la "privatizzazione" ha eliminato dall'ordinamento italiano il principio della pubblica utilità del credito, per cui le banche vengono destinate unicamente a fare profitto. I partiti sono tuttavia riusciti a mantenere il controllo sui capitali delle ex banche pubbliche, scorporando da esse le Fondazioni bancarie.
Così iniziava in Italia il ventennio del trionfo dell'economia del debito, capace di generare nel mondo "derivati" per un valore oltre dodici volte superiore a quello del lavoro annuo di tutta l'umanità. Le Fondazioni, e non solo le banche, hanno partecipato alla speculazione: col risultato che le sole prime 12 Fondazioni avrebbero bruciato, al settembre 2011, ben 10 miliardi di euro, cui nel 2012 si dovrebbero aggiungere altri 14 miliardi di perdite sui titoli di Stato presenti nei loro portafogli.
Dato che il patrimonio delle 88 Fondazioni bancarie italiane ammonta a oltre 50 miliardi di euro, ci rendiamo conto di quanto la crisi finanziaria mondiale abbia intaccato uno dei più importanti patrimoni dell'Italia, costituito nel tempo dal lavoro degli Italiani e originariamente destinato al sostegno delle attività non lucrative, tra le quali, in primo luogo, la cultura.
Le improvvise, per gli ignari, notizie sulla grave crisi del Monte dei Paschi, che irrompono sulla campagna elettorale, annunciano, a nostro avviso, ulteriori difficoltà del sistema creditizio e delle fondazioni nel nostro paese: proprio quando recenti analisi di esperti confermano il fatto che questo sistema continua a sostenere soltanto le grandi aziende e le pubbliche amministrazioni, lasciando famiglie e piccole e medie imprese prive di denaro proprio quando sarebbe più necessario.
Una scelta strategica rivelatrice del fatto che per la finanza internazionalizzata il denaro non è il controvalore del lavoro di un popolo, ma lo strumento per renderlo schiavo attraverso la creazione del debito.
La patologica commistione di politica dei partiti e di speculazione finanziaria si traduce quindi nella rapida distruzione di risorse che il nostro popolo ha prodotto in decenni. Bruciando con gli strumenti della finanza derivata le ultime disponibilità destinate a sostenere non solo le attività economiche e imprenditoriali, ma anche quelle culturali creative artistiche, si minaccia quindi direttamente la stessa identità di ogni popolo.
Dietro i meri aspetti che tanto interessano i "tecnici", la questione di fondo è che con l'involuzione del credito e della banca, l'Italia regredisce ulteriormente dalla civiltà delle arti e dei mestieri, di cui è stata nobile espressione, alla dura soggezione alla brutale potenza dell'oro.

Fonte: http://www.clarissa.it/editoriale_n1873/Monte-dei-Paschi-ancora-il-debito-contro-il-lavoro.

mercoledì 16 gennaio 2013

Mobile User Objective System (MUOS). Ora è un obbligo!

di Giulietto Chiesa - 8 gennaio 2013

Non so quanti sanno cosa sia il Muos. E’ una base militare americana (non della Nato), sistemata illegalmente in mezzo a una riserva naturale, a due passi da Niscemi, Sicilia.
Segretissima. Enorme. Si vedono antenne altissime di diversi tipi. I tecnici del Politecnico di Torino, chiamati dall’Amministrazione comunale di Niscemi, hanno valutato i rischi per le popolazioni circostanti. Il rapporto è, a dir poco inquietante.

Ma più inquietante è scoprire che tutto il Muos è un’arma strategica offensiva di nuovo tipo, che fa parte di un sistema di basi analoghe, sparse in diversi continenti, collegate a un sistema di satelliti geostazionari che consentono agli Stati Uniti d’America, senza alcun controllo da parte italiana, di condurre azioni di rilevazione, controllo, guida di droni, possibili e multiple azioni di disturbo e di offesa verso terzi.
Studi sull’impatto delle onde irraggiate da quelle antenne, eseguiti da due aziende americane, Analytical Graphics Inc. (sede a Exton , Pennsylvania), e Maxim Systems (San Diego, California), dicono che “le fortissime emissioni elettromagnetiche possono avviare la detonazione degli ordigni” a bordo di aerei militari.
Infine (ma l’elenco sarebbe lungo) si hanno molte ragioni per concludere che le antenne e le parabole del Muos hanno stretti legami con l’ultra-segreto programma “Haarp”  (High frequency Active Auroral Reseach Program) che dal 1994 la Us Air Force e la Us Navy conducono a partire dalla base di Gakona, in Alaska. Programma che il Parlamento Europeo ha definito pericoloso per l’ambiente e per l’uomo, chiedendo agli Stati Uniti di sospenderlo. Richiesta ignorata sia dal governo americano che dalla Commissione Europea.
Chi ha preso la decisione di fare la base, in Italia, in Sicilia? Storia oscurissima, cominciata nel 2005. Fino a che la Regione Siciliana, sollecitata dalla gente, non ha cercato, confusamente, di fermare la faccenda. Per essere poi costretta a rimangiarsi tutto. Fino al recente sequestro della base da parte della magistratura. Anche questa volta subito cancellato dalle “istanze superiori”. Insomma questa base non si tocca. Il Parlamento non ne ha mai discusso.
Ma è sorto un movimento di protesta, che sta assumendo proporzioni importanti. E allora, a camere chiuse, ecco che la ministra Cancellieri formalizza la decisione del Governo, definendo il Muos “sito di interesse strategico per la difesa militare della nazione e dei nostri alleati. Cosa c’entri la difesa militare della nostra nazione in un dispositivo aggressivo lo sa solo la Cancellieri, anzi probabilmente nemmeno lei. Gli alleati sono uno solo, gli Usa. L’intimazione è rivolta al nuovo presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta: che non si faccia venire strane idee!
L’avvertimento è chiaro ed è erga omnes: “Non sono accettabili comportamenti che impediscano l’attuazione delle esigenze di difesa nazionale e la libera circolazione connessa a tali esigenze, tutelate dalla Costituzione”. Monti, come i precedenti governi di centrodestra e centrosinistra, dopo avere violato lo spirito della Costituzione in diversi punti e dopo averla fatta modificare (pareggio in bilancio e fiscal compact) mediante un Parlamento prono, si ricorda della Costituzione in questa specifica e molto particolare situazione.
In questo modo si vuole impedire alle popolazioni di difendersi. Anche se le si mette, a loro insaputa, in un forno a micro e macro onde in cui cuoceranno insieme ai loro figli (la Costituzione considera  fondamentale il diritto alla salute). Oltre a divenire il bersaglio preliminare di ogni futuro conflitto.
Io penso che questa base la si debba chiudere e mi impegno personalmente in questo senso. Penso che il diritto costituzionale sia dalla parte della sovranità popolare, non dalla parte degli espropriatori della democrazia e della ricchezza che siedono nel Palazzo.
In ogni assemblea cui partecipo, dovunque vado, ripeto che il Parlamento italiano prossimo venturo dovrebbe dichiarare, nella sua prima seduta, che l’Italia non parteciperà più a nessuna azione o missione militare fuori dai suoi confini. Che lo dichiari preliminarmente, impegnando il Governo a rispettare la sua deliberazione. Il Muos è arma di aggressione e non soltanto di difesa. E non è sotto il controllo delle leggi e delle autorità italiane. Come tale dev’essere dichiarato illegittimo e chiuso.
Naturalmente io penso che l’Italia debba uscire dalla Nato, poiché non abbiamo nemici che non siano le catastrofi naturali che si abbatteranno su di noi insieme alla crescita del Prodotto interno lordo (finché ce ne sarà). E dunque che non si debbano comprare altri caccia bombardieri e altri sommergibili, che serviranno solo a farci diventare bersagli in guerre che è ormai impossibile vincere.
[note per la documentazione: a) Relazione del 10 ottobre 2009, firmata da Donato La Mela Veca, Tommaso La Mantia e Salvatore Pasta, su incarico del Comune di Niscemi. b) Rapporto del Politecnico di Torino, denominato “Analisi dei rischi del Mobile User Objective System presso il Naval Radio Transmitter Facility” di contrada Ulmo. Firmato dai professori Massimo Zucchetti (ordinario di Impianti nucleari del Politecnico e research affiliate del Mit, Massachusetts Institute of Technology) e Massimo Coraddu (Consulente esterno del dipartimento di energetica del PT). c) Parlamento Europeo (5 febbraio 1988). d) UNECE Ahrus  Convention 1988. e) Nagoya Convention on Biological Diversity (2010). f) Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000).]

Italiani, siete idioti a dire si a tasse alte, sacrifici, disoccupazione. Per pagare il loro debito

"Austerità" e "sacrifici" hanno paralizzato l'economia, per mancanza di denaro che circola, per cui milioni di persone non hanno da lavorare. Se il governo digitasse degli "zero" nei computer delle banche centrali e li trasferisse ai conti correnti di milioni di italiani sotto forma di rimborso delle tasse... Opinione di Giovanni Zibordi


 NEW YORK (WSI) - Grillo non dovrebbe avere timore a mandare gente del suo movimento su Sky, sulla TV nazionale e quelle locali a parlare della crisi e dell'austerità.

Per spiegare perchè i "sacrifici" della politica di Austerità sono assurdi non c'è bisogno di discorsi complicati di finanza e debito. Basta semplicemente notare che questi sacrifici richiesti per pagare questo debito in pratica consistono nel NON FAR LAVORARE. Chiedere dei "sacrifici" può essere giusto per risollevare l'economia o anche pagare dei debiti, ma se consistono nel lavorare di più, non lavorare di meno.

Per una famiglia o per chi ha una sua attività "fare sacrifici" lo si intende soprattutto come darsi di più da fare, alzarsi presto, rimboccarsi le maniche e lavorare di più. Per Monti e i suoi mandanti nelle banche e finanza internazionale invece i sacrifici consistono nell'impedire alla gente che vuole lavorare di farlo. In pratica l'austerità di Monti consiste nel dire: per ripagare i debiti bisogna lavorare di meno, aumentare i disoccupati o sottoccupati e lavorare a metà della capacità per un azienda.

Ma la stregoneria della finanza e dei mass media a lei ossequienti, con il suo metodico lavaggio del cervello sul "Debito" e la "Spread" convince la maggioranza ad accettare questo assurdità, che lavorando meno si pagano meglio i debiti. Il contrario di quello che si è sempre fatto e di quello che si fa in famiglia o azienda. Ma l'"Austerità" (venduta come necessaria per "pagare i debiti" dell'Italia...) in pratica significa che alcuni milioni di persone che vanno in ufficio, in negozio o in officina passino delle ore senza fare niente, aspettando che si presenti un cliente o un ordinativo o una commessa o qualcosa da fare. Hai i muratori o tappezzieri che se ne stanno a casa ad aspettare che qualcuno chiami e intanto portano i bambini al parco non avendo niente da fare, hai i licenziati o in cassa integrazione che passano la giornata a guardare la TV o al bar, hai i giovani laureati che stanno in casai con i genitori con i videogiochi a passare il tempo. E ti raccontano che TUTTA QUESTA GENTE DEVE RESTARE OZIOSA PER "PAGARE I DEBITI"!

Che razza di "austerità" e "sacrifici" sono bloccare un economia, per mancanza di denaro che circola, per cui milioni di persone non hanno da lavorare ? E il denaro che non circola e che manca è solo contabilità elettronica, i governi e le banche centrali potrebbero farlo circolare DOMATTINA IN POCHI MINUTI DIGITANDO DEGLI ZERO NEI COMPUTER DELLE Banche (come ha spiegato anche il capo della Banca Centrale americana Bernanke).

Se per finanziarsi emettesse moneta invece di debito, il governo italiano potrebbe ridurre le tasse di 100 miliardi di euro in Italia (facendo apparire i 100 miliardi nella contabilità della Banca Centrale come passività e in quella del Tesoro come attività...) Costo ? Zero, ma con 100 miliardi di euro di tasse rimborsate l'economia ripartirebbe domattina

Perchè non lo fanno allora ? Ma perchè disturberebbe il mercato finanziario dove va tutto bene perchè tutti i bonds e le obbligazioni salgono sempre. Se il governo digitasse degli zero nei computer delle banche centrali e li trasferisse ai conti correnti di milioni di italiani sotto forma di rimborso delle tasse, farebbe circolare di nuovo moneta e poi farebbe lavorare la gente, ma si rischierebbe che i bonds franassero sui mercati.... e questo farebbe perdere miliardi agli investitori finanziari... e se questi perdono si arrabbiano e sconquassano l'euro o il Btp... e se sei un cittadino comune, anche se non hai molti euro e non hai nessun Btp, devi sacrificarti per quelli che ne hanno. Il mondo funziona oggi così.

E' un punto di vista bizzarro questo, visto che non lo leggi su nessun giornale o senti in nessun dibattito TV (e nemmeno è espresso chiaramente dai movimenti di protesta) ? No. E' quello che Keynes ha passato la vita a spiegare (il suo testo fondamentale si chiamava "teoria dell'occupazione e della moneta" tanto per far capire fin dal titolo che senza moneta non c'è occupazione). E' l'approccio che in buona sostanza seguono ora in Inghilterra o Giappone per non parlare degli Stati Uniti (senza contare che è quello con cui l'Italia ha fatto il miracolo economico). Sono le stesse considerazioni che fuori dai nostri confinti ad esempio leggi anche stamattina sul principale quotidiano inglese.

Grillo non dovrebbe avere timore a mandare gente su Sky, sulle TV nazionali o locali o alle radio a parlare dell'austerità. Basta allenarsi un attimo a tenere questo discorso.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Cobraf - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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martedì 15 gennaio 2013

U.S.ARMY DA SUICIDIO !


Allarme del Pentagono: numero dei suicidi tra i militari Usa supera quello dei caduti
Washington, 15 gen. (Adnkronos/Washington Post) -
 L'anno scorso il numero di militari americani che si sono tolti la vita ha superato quello dei caduti in combattimento. I 349 suicidi registrati nel 2012 tra i membri in servizio delle Forze armate, rispetto ai 229 caduti in Afghanistan lo scorso anno, segna il pesante tributo pagato a un decennio di guerre e sottolinea le difficolta' del Pentagono nell'affrontare una questione che alcuni comandanti considerano ormai una vera e propria epidemia.
Il monitoraggio dei suicidi tra i militari in servizio è iniziato nel 2001 e le prime serie preoccupazioni del Pentagono sono iniziate nel 2006, quando il numero di quanti si sono tolti la vita a causa della depressione o del Ptsd, il disturbo da stress post traumatico, ha subito un sensibile aumento. Il picco, prima del record del 2012, fu raggiunto nel 2009, con 310 suicidi. Lo stesso segretario alla Difesa, Leon Panetta, la scorsa estate espresse tutta la sua frustrazione, quando il numero dei suicidi toccava ormai la media di uno al giorno.
Nonostante il numero dei militari suicidi si attesti su livelli leggermente più bassi di quelli riscontrati tra la popolazione civile, le autorità militari ritengono che il fenomeno sia inaccettabile. Nel tentativo di fermare questa tendenza, le Forze armate hanno assunto un gran numero di terapeuti specializzati, hanno avviato uno studio sulla salute mentale del personale in divisa e avviato una vera e propria unità di crisi. Si tratta del "problema più urgente che ci troviamo ad affrontare", ha detto la portavoce del Pentagono, Cynthia Smith. "Ci prendiamo cura della nostra gente e questo comprende anche fare tutto il possibile per prevenire i suicidi tra i militari", ha aggiunto.
Il Corpo dei Marines, che nei due anni precedenti aveva avuto successo nel ridurre il numero dei suicidi, ha visto nel 2012 un drammatico aumento percentuale del 50%, il più alto tra le Forze armate, con 48 militari che si sono tolti la vita. Il numero dei tentati suicidi è stato invece di 179. Anche la Marina e l'Aeronautica, solitamente le armi con il minore tasso di suicidi, lo scorso anno hanno avuto un aumento, rispettivamente con 60 (+15%) e 59 (+16%) suicidi. L'Esercito, che vanta il maggior numero di effettivi nelle Forze Armate Usa, ha avuto 182 suicidi nel 2012, rispetto ai 159 del 2011.
Dai bilanci del Dipartimento per i veterani emerge inoltre che i programmi di assistenza sanitaria per i reduci hanno registrato negli ultimi sei anni un triplicarsi della spesa per Viagra ed altri medicinali per disfunzioni erettili. Il Dipartimento ha speso nell'anno fiscale che si è chiuso lo scorso settembre 71,7 milioni di dollari contro i 27,1 spesi nel 2006.
L'aumento di spesa per questi medicinali è una delle conseguenze dell'aumento del numero di casi di disturbo da stress post traumatico e depressione che si registra tra i militari rientrati in patria dall'Afghanistan e dall'Iraq. "Non molti reduci sono ovviamente disposti a parlare" dei problemi di impotenza collegati alla loro depressione, spiega Jason Hansman, che dirige i programmi per l'assistenza sanitaria.
"E' un segnale positivo che il dipartimento sostenga le spese per questi medicinali - aggiunge - la salute sessuale è parte del quadro generale della salute dei reduci". Ma c'è chi esorta il dipartimento ad assicurare anche alle donne reduci dal fronte, che presentano disturbi della sessualità legati sempre al Ptsd, lo stesso sostegno dato ai colleghi maschi. "Molte delle questioni legate alle disfunzioni sessuali femminili non vengono riconosciute ed è difficile ottenere assistenza" ha dichiarato Chellie Pingree, deputata democratica che il mese scorso ha scritto in proposito al dipartimento per i veterani.
 
fonte: Adnkronos/Washington  Post

CI VENDONO TUTTO – Tranne quello che ci serve la felicità

COME GOVERNANTI
esprimiamo la sincera volontà di accompagnare tutti gli accordi che questa nostra povera umanità possa sottoscrivere. Tuttavia, ci venga concesso di porci qualche domanda a voce alta. Per tutto il pomeriggio si è parlato di ‘sviluppo sostenibile’, per togliere masse immense dalla povertà. A cosa ci riferiamo? Il modello di sviluppo e di consumo che abbiamo in mente è quello attuale delle società ricche? Un’altra domanda: cosa succederebbe, a questo pianeta, se gli indiani avessero la stessa proporzione di auto per famiglia che hanno i tedeschi? Quanto ossigeno ci rimarrebbe per respirare?In altre parole: il mondo possiede oggi gli elementi materiali per fare in modo che 7-8.000 milioni di persone possano avere lo stesso livello di consumo e di spreco delle più ricche società occidentali? Sarà possibile, o dovremmo forse mettere la discussione su un altro piano?

 PERCHE’ ABBIAMO CREATO UNA CIVILTA’

quella in cui viviamo, figlia del mercato e della concorrenza, che ci ha portato un progresso materiale portentoso ed esplosivo. Ma ciò che è nato come “economia di mercato” è diventato “società di mercato”. E ci ha portato questa globalizzazione, che significa doversi occupare di tutto il pianeta. La stiamo governando, la globalizzazione, o è la globalizzazione a governare noi?È possibile parlare di solidarietà e dire che siamo tutti uniti, in una economia basata sulla competizione spietata? Fino a che punto arriva la nostra fraternità? La sfida che abbiamo davanti è di una dimensione epocale. E la grande crisi non è ecologica: è politica. L’uomo, oggi, non governa le forze che ha creato; sono queste ultime a governare l’uomo e la nostra vita.

 
NON VENIAMO AL MONDO PER “SVILUPPARCI” IN TERMINI GENERICI

veniamo al mondo con il proposito di essere felici. Perché la vita è breve e ci sfugge tra le mani. E nessun bene vale quanto la vita, questo è elementare. Ma se la vita finisce per sfuggirmi, lavorando e lavorando per consumare un di più, la società del consumo è il motore di tutto questo. In definitiva, se si paralizza o si rallenta il consumo, si rallenta l’economia; e se rallenta l’economia, è il fantasma della stagnazione per ciascuno di noi.”E’ proprio l’iperconsumo che sta aggredendo il pianeta. Ed è proprio l’iperconsumo a generare cose che durano poco, perché bisogna vendere molto”Ma è proprio l’iperconsumo che sta aggredendo il pianeta. Una lampadina elettrica non può durare più di mille ore. Ci sono lampadine che possono durare centomila, duecentomila ore, ma non possono essere fabbricate, perché il problema è il mercato, perché dobbiamo lavorare e dobbiamo avere una civiltà usa e getta.

 SIAMO IN UN CIRCOLO VIZIOSO

questi sono problemi di carattere politico, che ci portano a comprendere la necessità di lottare per un’altra cultura. Non si tratta di tornare all’uomo delle caverne, né di fare un monumento al regresso. E’ che non possiamo continuare indefinitamente ad essere governati dal mercato: dobbiamo governarlo noi, il mercato. Per questo, nel mio umile modo di vedere, dico che il problema è di tipo politico. I vecchi pensatori – Epicuro, Seneca, gli Aymara – dicevano: povero non è colui che ha poco, ma chi ha indefinitamente bisogno di molto – e desidera e desidera, sempre di più. Questa è una chiave di carattere culturale. Dobbiamo renderci conto che la crisi dell’acqua e la crisi dell’aggressione all’ambiente non sono una causa: la causa è il modello di civiltà che abbiamo costruito. E ciò che dobbiamo rivedere è il nostro modo di vivere.Appartengo a un piccolo paese, ricco di risorse naturali per vivere. Il mio paese ha poco più di tre milioni di abitanti, ma ci sono 13 milioni di vacche tra le migliori al mondo. Abbiamo 10 milioni di pecore stupende. Il mio paese esporta cibo, latticini, carne. È un territorio pianeggiante, utilizzabile quasi al 90%. I miei compagni lavoratori hanno lottato molto per le 8 ore di lavoro, e adesso stanno ottenendo le 6 ore. Ma chi lavora solo 6 ore si trova un altro lavoro, e quindi lavora più di prima. 

 PERCHE’?

Perché deve pagare una serie di rate, la bella moto, la bella macchina. E paga e paga, alla fine è un vecchio reumatico come me, e la sua vita gli è sfuggita. Domando: è questo il destino della vita umana? Queste cose sono elementari. Lo sviluppo non può andare contro la felicità: dev’essere a favore della felicità umana, dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, della cura dei figli, dell’avere amici, del non privarsi dell’indispensabile. Proprio perché questo è il tesoro più prezioso che abbiamo, ricordiamocelo; quando lottiamo per l’ambiente, il primo elemento dell’ambiente si chiama: felicità umana.
(Jose Mujica, presidente dell’Uruguay; estratti del discorso pronunciato alla conferenza mondiale “Rio+20” il 21 giugno 2012 a Rio de Janeiro).

FONTE 
Redatto da Pjmanc:  http://ilfattaccio.org

martedì 8 gennaio 2013

Quando Obama ha paura dell'IRIB: sanzioni ufficiali contro la radiotelevisione iraniana

di Davood Abbasi.
 La sera di mercoledì 2 Gennaio 2013 il presidente degli Stati Uniti ha firmato il budget militare del nuovo anno, 633 miliardi di dollari. Tralasciando la somma galattica del budget militare di questi paladini della pace e della giustizia del mondo ed i discorsi che dovremmo farci sopra, sembra una normalissima prassi statale ma in quel maledettissimo budget militare, stanno molte cose, persino una "prima volta assoluta" nella storia politica umana.
No, non voglio raccontarvi quanti innocenti uccideranno quei 633 miliardi di dollari, non voglio dirvi quanti missili faranno sparare ai droni che uccidono gente innocente, non intendo addentrarmi nelle macabre cronache sull'Afghanistan, l'Iraq, la Siria, non voglio starvi a raccontare delle torture che quei soldi faranno infliggere a gente innocente nelle prigioni segrete, non sto quì a raccontarvi dei bambini che piangeranno per l'assassinio dei loro genitori ad opera di qualche raid israeliano su Gaza con armi americane, non volevo dirvi che in Sicilia a Niscemi molti si beccheranno il cancro per via del Muos, no non avevo intenzione di dirvi che per quel budget magari altre ragazze giapponesi di 14 anni verranno stuprate ad Okinawa.
No ormai tutto questo nel nostro mondo è diventato all'ordine del giorno, non fa nemmeno notizia.
Ma certo gli iraqeni, gli afgani, gli italiani, i giapponesi, i popoli del mondo non sono dei carciofi e per questo se di quel budget militare qualcuno inizia a parlarvi come non volevo parlarvi io, ecco che tutti questi crimini inizieranno pure a fare notizia.
Ed ecco che arriviamo al dunque, a quello che volevo raccontarvi.
Per la prima volta nella storia in quel budget militare c'è una sezione strana: non ha precedenti nella storia. L'IRIB, il gruppo radiotelevisivo di una nazione viene ufficialmente colpito dalle sanzioni del governo americano, tutte le sue trasmissioni devono essere oscurate, censurate, interrotte come si può, tutti i suoi asset vanno bloccati, verrà colpito da ritorsioni durissime persino chi collaborerà con questo gruppo.
Gli Stati Uniti hanno combattutto per anni contro l'Unione Sovietica una guerra fredda, negli anni dopo il crollo dell'URSS hanno avuto i loro alti e bassi ma quandomai erano caduti così in basso da dichiarare ufficialmente di voler zittire la radiotelevisione di un altro paese?
Quegli stessi Usa che ritengono o ritenevano il loro impero mediatico la loro arma più efficace, che riescono o riuscivano a far credere al mondo quello che era nel loro interesse, com'è che ora gettano la spugna dinanzi alla sigla IRIB e sono costretti ad una così clamorosa ammissione di inferiorità da aggrapparsi alle sanzioni ed alla censura?
Per chi non lo sa IRIB è la sigla di Islamic Republic of Iran Broadcasting. Quella sigla che timida timida negli ultimi anni ha scritto le pagine del giornalismo della regione mediorientale ed ha conquistato la sua rispettabile fetta nel mondo intero.
Oggi chi è che non conosce Press TV, Al Alam, Hispan TV, reti d'informazione ed intrattenimento con 24 ore di programmi diramati in tutto il mondo.
In Medioriente le popolazioni musulmane preferiscono i serial tv iraniani di IFILM ai telefilm osceni di Paesi Arabi e Stati Uniti, in Bosnia la radio dell'Iran viene pubblicata su banda FM, in Italia il sito di Radio Italia ormai lo conoscono tutti, il sito della radio francese iraniana ha oltre un milione di visite al mese, in Germania è tra i più gettonati. In Indonesia e Malesia è considerato tra i migliori. L'Iran si esprime oggi nelle più impensabili lingue, oltre ai soliti inglese, spagnolo, russo...non immaginerete che ci sono anche giapponese, cinese, turco, curdo, arabo, pashtu, urdu, hindi, swahili, ebraico; in tutto 35 lingue.
Per la prima volta nella storia dell'imperialismo, della prepotenza, dell'ingiustizia della politica di questo nostro mondo, gli Stati Uniti mettono il bavaglio ad una voce contraria e questa volta non potranno dire che lo fanno per lottare contro il terrorismo, per questioni umanitarie, per portare la democrazia, non c'è bugia che regga. È chiaro come il sole che impedire ad una voce di parlare è censura, è paura di essere contrastati.
L'IRIB costringe per la prima volta nella Storia quell'ipocrisia personificata che si chiama politica Estera americana ad ammettere di essere una entità contro la libertà di espressione e la vera democrazia.
E così dietro quella faccia calma di quell'Obama che mercoledì sera firmava quella nuova legge anti-iraniana, c'era paura, c'era tanta paura.
C'era paura del "pensiero iraniano" e mai gli Stati Uniti lo avevano ammesso così palesemente. Perchè da anni a Washington non temono altro che il pensiero di questo antico popolo mediorientale che inizio' la sua avventura nel mondo con Ciro; un Ciro che guarda caso e' firmatario della prima legge di diritti umani della Storia umana.
Nel 1953 il "pensiero" di nazionalizzare il petrolio era apocalittico ma un certo Mosaddeq lo fece per la prima volta proprio in Iran e proprio per questo venne rovesciato con un colpo di Stato della Cia.
Agli americani però andò decisamente male quando quel "pensiero" non venne ucciso dallo Sha fantoccio e nel 1979 milioni di iraniani gridarono "Ne orientale Ne occidentale" per le strade di Teheran e l'ambasciata americana a Teheran venne presa da un manipolo di studenti coraggiosi stufi di avere tra le scatole un covo della Cia.
E il "pensiero iraniano" riuscì a sopravvivere anche all'aggressione dell'alleato Saddam e poi alle sanzioni che si allungano fino ai nostri giorni.
Il "pensiero iraniano" diede vita a quel movimento che poi anni dopo liberò il Libano dall'occupazione israeliana e che oggi è il partito più forte del paese dei cedri.
Ed il "pensiero iraniano" mise a punto senza l'aiuto di nessuno l'industria dell'automobile, dell'acciaio, l'estrazione del petrolio, la produzione di benzina, dei più disparati prodotti industriali moderni.
Ed il "pensiero iraniano" diede i natali al nucleare civile che gli americani hanno cercato di ostacolare per impedire che il paese che galleggia su petrolio e gas divenga in futuro una potenza economica grazie ad immense quantità di energia a basso costo ricavata dal nucleare.
Ed il "pensiero iraniano" oggi è il 17esimo produttore di Scienza del globo, il primo in Medioriente, ha fatto registrare il più alto tasso di aumento di produzione scientifica del mondo.
Ed il "pensiero iraniano" ha appassionato con il cinema di Kiarostami e Farhadi, con il canto di Shajarian, con i tappeti in ogni salotto occidentale, con la poesia di Hafez e Rumi, con i discorsi di Khatami ed Ahmadinejad all'Onu.
Ed è di quel pensiero che Obama ha avuto paura, ancora una volta, quando ha approvato le sanzioni contro l'IRIB.
Il nocciolo di questo pensiero è solo una cosa: "Credi in te fratello. Per essere grande non c'è bisogno di un padrone che si chiami Stati Uniti, Banca Mondiale, FMI, o qualsiasi altra cosa. Un popolo che fa affidamento alle sue forze può farcela, in tutto ed in tutti i sensi. Basta Dio come Padrone".
Se domani tutti i popoli della Terra si sveglieranno con questo pensiero in testa non una sola nazione sarà più disposta a fare "il vassallo" degli Stati Uniti. Obama lo sa e per questo ha paura e cerca di zittire la voce di questo Iran, cerca di fermare questo pensiero.
Ma il pensiero lo si può ingabbiare? Lo si può murare? Povero Obama.

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venerdì 4 gennaio 2013

Qualche modesto consiglio a Ingroia

di Pixel - Megachip.
Cominciamo dal meglio, cioè dalla “testarda” apertura a Beppe Grillo e al M5S. Da queste pagine, e non da ieri, abbiamo sostenuto che non ha senso, in queste condizioni, con questi dati, con questi rapporti di forza, ignorare il fatto che il M5S porterà in Parlamento una non trascurabile quantità di deputati e senatori. E che si tratterà di una opposizione.


Bene fa, Antonio Ingroia, a ribadire che – se gli riesce di fare altrettanto – vorrà dialogare con loro per cercare di dare più forza alle istanze di cui è portatore. E che, in parte grande, specie per quanto concerne la lotta alla mafia e alla criminalità organizzata, questa testata sostiene con centinaia di articoli.
Bene fa, doppiamente, Antonio Ingroia, perché in questo modo dice a parecchi dei suoi compagni di strada nella lista “Rivoluzione Civile” che è bene non insistere troppo sul suo carattere “di sinistra”.
Da queste colonne abbiamo ripetutamente criticato la supponenza e il disprezzo con cui le diverse componenti della sinistra guardano al M5S. Con un semplice e preliminare giudizio: prima di criticare sarebbe bene che le sinistre si facessero l’autocritica a e si chiedessero come mai Beppe Grillo si trova ad avere sondaggi che lo collocano a due cifre, mentre tutte le sinistre coalizzate si chiedono ancora se supereranno la barriera del 4%.
Il programma del M5S non è adeguato al governo del paese? Vero. I metodi interni a quel movimento fanno spesso pensare male? Vero.
Ma è anche vero che, quanto a programma “alternativo” all’agenda Monti e a quella dei “Masters of Universe”, anche le sinistre non brillano. E i metodi con cui le sinistre continuano a operare (come si è visto nella triste sorte riservata a “Cambiare si può”) non mostrano il buon esempio.

Ciò detto, passiamo ai modesti consigli. Antonio Ingroia parte, senza infingimenti, da un compromesso (che gli ha fatto sacrificare la sorte di “Cambiare si può”) con i partitini della (più o meno) sinistra. Si è accontentato del passo indietro sui simboli, ma ha incassato, probabilmente, la possibilità di evitare la raccolta delle firme (ostacolo che sarebbe stato insuperabile). E ha dovuto accettare la presenza dei loro rappresentanti nelle sue liste.
In cambio (vedremo la composizione delle liste) ha illustrato le sue intenzioni di mettere ai primi posti, cioè in corsa per l’elezione in base al Porcellum, esponenti della “società civile”.
Dai nomi fino ad ora fatti una cosa si può dire con certezza: che si tratta di una rappresentanza molto carente (ed è un eufemismo). Su alcuni nomi già noti, potremmo dire che è una rappresentanza anche piuttosto discutibile. Basti dire che non è stato fatto nessun tentativo, e nessuna proposta, per includervi rappresentanti di un movimento che ha portato in piazza, il 27 ottobre, svariate decine di migliaia di manifestanti contro, appunto, l’agenda Monti. Ma Ingroia ha tutto il diritto di scegliere, visto che la lista è sua ed è sua la responsabilità degli elenchi che ne scaturiranno.
C’è ancora, tuttavia, la possibilità di migliorare. C’è, a nostro modestissimo avviso, in primo luogo, la necessità assoluta di avere in lista, per essere eletti, alcuni rappresentanti del movimento NOTAV . C’è l’assoluta necessità di avere in lista, per essere eletti (o per essere in corsa tra coloro che possono essere eletti), non uno ma numerosi rappresentanti dei movimenti che hanno condotto alla vittoria il referendum contro la privatizzazione dell’acqua e contro il nucleare. Si può fare? Noi pensiamo che si debba fare. Anche perché, se si fa una lista elettorale, la si fa per farla entrare in parlamento. E quei nomi sarebbero viatici importanti, decisivi per ottenere il risultato.
Come fare tutto questo nei pochi giorni che restano? Del raggruppamento “Cambiare si può” e degli errori che sono stati fatti nella sua conduzione (di metodo, di merito, di sostanza) hanno già scritto autocriticamente coloro che lo hanno “diretto” (questa è la parola giusta, anche se molti si sono illusi che non dovesse essere usata) . Sappiamo che sono stati “aggirati” con astuzie di tipo tardo leninista che – anche per colpa loro – non sono stati in grado di prevedere e di parare. Fino alla consultazione finale via telematica che ha visto la loro sconfitta sul campo.


Ma le assemblee che hanno accompagnato il processo, dal primo dicembre al 22 dicembre, non erano un miraggio. E i tredicimilacinquecento che lo hanno sottoscritto non sono inezie da lasciare in un canto. Mettiamo pure in conto le delusioni, le recriminazioni. Ma restano anche molte speranze. Noi pensiamo che Ingroia non dovrebbe lasciarle cadere. In questo momento, a quanto pare, nessuno può o vuole riconvocarle. Chiediamo a Ingroia: si accontenterà di concludere la formazione delle liste rimanendo nel chiuso di qualche stanza, a usare manuali Cencelli in edizione arancione? Oppure farà appello a quello che resta di quelle speranze, perché diano un contributo decisivo alla formazione delle liste in uno spirito decentemente vicino alla “società civile”?
Infine altri due brevi consigli. Noi non ci eravamo illusi che una lista qualsiasi – fosse quella emergente da “Cambiare si può”, fosse quella, unica rimasta, di “Rivoluzione civile” – ci presentasse un programma all’altezza della crisi dell’Italia e dell’Europa, e del mondo. Sapevamo che l’analisi della crisi, e dei suoi rimedi, è, dentro la “voragine dei non rappresentati”, molto al di sotto della necessità. Lo era nei documenti di “Cambiare si può”, lo è nei punti di Ingroia.
Non ci spettavamo molto di meglio e, quindi, non siamo delusi per questo, perché la delusione è, in buona sostanza, la differenza tra risultati e aspettative. E, se le aspettative erano sbagliate, anche la delusione va presa cum grano salis .
Noi avremmo messo, per esempio, in testa a ogni programma, la richiesta al futuro governo di dichiarare preventivamente la totale indisponibilità dell’Italia a partecipare a qualsiasi operazione militare al di fuori dei confini (non solo il ritiro dei contingenti militari italiani all’estero, che è un’autocritica per le vergogne del passato; non solo il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, ormai già fin troppo calpestato dalle “missioni umanitarie”) .

Si può ancora fare? Darebbe un segno netto in una direzione chiara. E impegnerebbe tutti i partecipanti alla lista di fronte ai loro elettori. Darebbe un contributo anche al futuro comportamento del M5S che di queste cose non parla, purtroppo.
Per il resto – ultimo nostro consiglio a Ingroia – lasci da parte ogni illusione di dialogo con il Partito Democratico. Non ci sarà dialogo su nulla di decente. Meno che mai nella lotta per debellare (non per contenere) la mafia, le mafie. Perché l’intreccio criminale ha ormai, da tempo, raggiunto i vertici politici del potere, italiano, europeo, mondiale. Naturalmente, dicendo questo, non intendiamo minimamente dire che non si debba parlare all’elettorato di quel partito, che è vittima di un abbaglio storico ben congegnato, e va quindi aiutato a liberarsene. Ma non facciamoci fuorviare da cavilli verbali. Dialogare con l’elettorato è un conto, dialogare con il palazzo è cosa del tutto diversa.
Ingroia dovrebbe sapere che, data la strada che ha scelto, si dovrà portare dietro, e in parlamento, non pochi pre-transfughi, che, appena eletti, si preoccuperanno di riannodare i fili per risalire lungo le sartie della nave che li ha appena scaricati. “Rivoluzione Civile” non è, e non potrà essere – per queste e molte altre ragioni - l’embrione di un nuovo soggetto politico. Potrà fare molte cose buone nell’ambito nel quale Ingroia conosce le cose da fare. Ma Ingroia può fare qualcosa, anche molto, se si renderà conto che esiste in Italia, un movimento politico (non necessariamente di sinistra), che vuole un cambiamento profondo.
La geografia politica, anche quella al di fuori del palazzo (che è l’unica, al momento, che sia utile studiare) di questo frangente della storia italiana è tutt’altro che immobilizzata.
La crisi sta arrivando ora e sarà assai più grave di quanto molti mostrino di capire. Dunque – poiché molte cose attuali cambieranno - essenziale è guardare avanti; ricucire dove è possibile, i legami che si stavano faticosamente tessendo con l’esperienza di “Cambiare si può”; non tagliare i ponti con quella parte di elettorato che voterà per Grillo; aiutare la società civile, quella vera, che agisce sui territori in mille forme, a costruire la propria rappresentanza uscendo dalla autoreferenzialità.





martedì 1 gennaio 2013

Ingroia fonda il quarto polo. È il momento dei “vedremo”

Dal nostro inviato speciale alla conferenza stampa di Antonio Ingroia - Sabato 29 dicembre 2012.
 di Giulietto Chiesa - Megachip.
 
Questa è una cronaca che vuole fornire non giudizi ma elementi di valutazione oggettivi , si spera, utili perché ciascuno possa farsi un’idea chiara di questo punto di partenza. Perché quello di oggi è un punto di arrivo (di un processo travagliato) ma anche, indubbiamente, un punto di partenza. Antonio Ingroia non si propone come “un salvatore della patria”, ma si “mette in gioco” perché “la strada per la verità è stata sbarrata in sedi politiche” e, dunque, intende riprenderla da dove è stata interrotta, cioè dalle sedi politiche.  Afferma, Ingroia, che “la buona politica” ha fatto “un passo incontro” ai suoi intendimenti e che altrettanto ha fatto la “società civile”. Ne esce una “lista civica” i cui nomi (alcuni) emergono subito fin dalle prime battute. C’è il sostegno di Salvatore Borsellino, con il suo movimento delle Agende Rosse, c’è quello della Tavola della Pace, con Flavio Lotti (che sarà tra i candidati), c’è quello di Franco La Torre (candidato), c’è quello di Caterina Stramaccione (Libera), anche lei candidata. 

Altri nomi vengono pronunciati ma non è chiaro se si tratta di sostegno o di candidature (Oliviero Beha, Milly Moratti, Alessandro Giglioli) . Questi sono i passi incontro della società civile, oltre, naturalmente a Luigi De Magistris e Leoluca Orlando, che Ingroia colloca in quel contesto, poiché sono stati espressione di movimenti di popolo per una nuova politica civile.  

I passi incontro della “buona politica” sono rappresentati dalla “rinuncia dei partiti ai loro simboli”. Ingroia mostra il suo proprio simbolo: il suo nome in grande, sormontato dalla scritta “rivoluzione civile”; sotto, in arancione, il profilo del “quarto Stato” di Pelizza da Volpedo. Quali partiti non viene detto, ma si sa: Italia dei Valori, Rifondazione Comunista, Il Partito dei Comunisti Italiani, i Verdi. Forse qualche altro, minore. 

Questa rinuncia è un “passo indietro” da parte loro. Per molti gravoso. Ma altri passi indietro non ci sono stati. Ci saranno i loro candidati. Ingroia dice che, fare altrimenti “sarebbe stata una mortificazione superflua”. Resta solo da vedere come questa parte della lista sarà composta. 

Qui faccio una deroga ai limiti che mi sono imposto, nel senso che scrivo qualche indiscrezione, ascoltata in sala dai meglio informati. Le teste di lista sarebbero riservate alla “società civile” (quanto ampie non si sa ancora); subito dietro verrebbero i partiti. Ma, attenzione al porcellum, “quanto indietro”, nelle liste bloccate, è materia oltremodo delicata e “chi passa” dipenderà dalla quantità di voti che prenderà la lista, sia nel collegio nazionale, per la Camera, sia in quelli regionali per il Senato. 

Poi c’è il gioco variabile di partiti, come Rifondazione Comunista, che possono contare su numerose candidature di “seconda battuta”, sia alla Camera che nelle circoscrizioni senatoriali, mentre per esempio Di Pietro avrà meno chances di far entrare suoi candidati che stiano nei confini di decenza che sicuramente Ingroia porrà. Ma qui tutto lascia pensare che la partita sia ancora in parte da giocare. Ingroia dice che la lista è ancora “un cantiere aperto”, sebbene i tempi siano strettissimi e quelli per la raccolta delle firme siano altrettanto micidiali. 


L’obiettivo è tuttavia ribadito: alla fine dei conti dovrà trattarsi di “una lista civica nazionale, non di un partito. Un movimento nuovo in cui confluiscono cittadini e partiti”. In sala nessuno dei leade politici in questione è presente: solo Orlando e De Magistris fanno ala al magistrato che si candida a premier. 

Partita aperta anche su un altro fronte. Antonio Ingroia evita di nominare il processo di “Cambiare #sipuò”. Fin quasi alla fine della sua conferenza stampa la questione e il nome restano fuori dal suo discorso. Ed è piuttosto strano visto che Ingroia e De Magistris, entrambi, per ben due volte si sono presentati di fronte alle assemblee nazionali di “Cambiare si può”. Sollecitato a chiarire, Ingroia si limita a dire che si tratta “di una realtà importante con cui siamo ancora in discussione”. E poi ripete che “il cantiere è aperto”. Dunque è chiaro che le cose si sono messe a posto sul tavolo “arancione” e dei partiti, ma non c’è ancora intesa sul tavolo di “Cambiare si può”, dove c’è una parte importante della società civile e dei movimenti. 

Difficile prevedere cosa accadrà nelle prossime ore. “Cambiare si può” è impegnata in una consultazione interna, già indetta sia per via telematica (sulle regole), sia attraverso assemblee, previste per il 2,3,4 di gennaio. Ma “Cambiare si può” aveva ed ha al suo interno, tra gli altri, anche Rifondazione Comunista. E, in caso di accordo, bisognerà fare posto nelle liste anche agli “altri”, tra cui ALBA . Dunque trovare la quadratura del cerchio sarà niente affatto facile. Più facile che l’operazione Ingroia produca linee di faglia profonde all’Interno di “Cambiare si può”. Anche qui si tratta di un “vedremo” tutto da vedere.  

Porte aperte anche a Beppe Grillo. Ingroia è esplicito al riguardo: c’è stato un appello a incontrarsi, al quale fino ad ora non è venuta risposta da parte di Grillo. Non è un gesto di pura cortesia tra “simili”. Le somiglianze ci sono, ma ci sono anche differenze e “assenze” programmatiche. Che possa accadere qualche cosa prima delle elezioni è da dubitare seriamente. Grillo sta già raccogliendo le firme per le sue liste, è sta incontrando difficoltà. Forse una “coalizione”? Difficile anche solo immaginarlo. Ed è un altro “vedremo”. 

L’ultimo “vedremo” scocca nei riguardi del PD. Che – dice Ingroia – “sembra avere smarrito la coerenza rispetto alle sue radici e al suo passato”. A Bersani concede ancora un complimento, definendolo “persona seria e credibile”, che però “deve uscire dalle contraddizioni in cui si è impantanato”. Tuttavia Ingroia prende atto (dopo la mazzata della candidatura di Pietro Grasso nelle liste del PD, dopo la violentissima polemica nei suoi confronti da parte di Violante, oggi sul Corsera) che la risposta del PD c’è stata, ed è “una risposta politica”. “Alla domanda che ho posto, cioè: volete eliminare la mafia?, Bersani ha risposto che non lo vuole fare”. E dunque “un accordo politico con il centro-sinistra è impossibile”. Eppure, alla fine, è uscita ancora la parola “vedremo”, oltre a un grazie a Vendola “che aveva invitato Bersani a tenere aperta la finestra nei nostri confronti”. 

Prevenendo le obiezioni che gli sono state poste da più parti, Ingroia ha così chiarito: “nell’interesse del paese io penso che ci sia bisogno di un’alleanza trasversale”. Restano fuori da questa alleanza trasversale, ancora ritenuta “possibile”, sia Monti e la sua agenda che, ovviamente, Berlusconi e la destra. Ma sul programma politico e sociale Ingroia è stato molto contenuto. Poche cose. “Al posto dell’Europa delle banche, una politica di equità sociale”. Istituzione di un “apposito organismo speciale per l’individuazione e la caccia ai patrimoni illeciti”. Ovvio che Ingroia non ha avuto tempo di impostare una propria “agenda” che vada oltre la battaglia contro la mafia, e il ripristino della legalità democratica. Anche qui un “vedremo” è d’obbligo. 


Giulietto Chiesa   fonte megachip