mercoledì 26 febbraio 2014
venerdì 21 febbraio 2014
F-35, rapporto accusa ministero Difesa: “Ha comprato di nascosto 14 aerei”
di Enrico Piovesana - 19 febbraio 2014
La campagna "Taglia le ali alle armi" lancia la sua 'operazione verità' sui cacciabombardieri e, date e cifre alla mano, accusa Mario Mauro di aver "aggirato le prescrizioni del Parlamento" e di avere acquistato altri aerei, nonostante le mozioni votate a metà 2013 che imponevano la sospensione degli ordini.
L’ombra degli F35 si allunga sulla nascita del governo Renzi. In attesa di capire chi finirà a guidare la Difesa (in lizza ci sono Roberta Pinotti, Federica Mogherini e Arturo Parisi), la campagna “Taglia le ali alle armi”, promossa da Rete Disarmo, Sbilanciamoci e Tavola della Pace, lancia la sua ‘operazione verità’ sui cacciabombardieri della discordia e, date e cifre alla mano, muove una grave accusa al ministro Mario Mauro: aver “aggirato le prescrizioni del Parlamento” procedendo di nascosto all’acquisto di quattordici dei costosissimi aerei da guerra americani, nonostante le mozioni votate a metà 2013 che imponevano la sospensione degli ordini.
Nel rapporto “F35, la verità oltre l’opacità“, presentato a Roma dai pacifisti, è spiegato nel dettaglio come lo scorso autunno (27 settembre) la Difesa, “non informando correttamente il Parlamento” e sfruttando surrettiziamente “la pratica dei pre-accordi non vincolanti”, abbia non solo completato l’acquisto dei primi tre aerei, ma abbia anche confermato definitivamente l’ordine per ulteriori tre velivoli. “Non contento di una scelta già grave”, prosegue il rapporto, il ministero della Difesa “pochissimi giorni dopo l’approvazione delle mozioni” (il 18 luglio 2013) ha avviato da zero una nuova tornata di ordini versando anticipi per ulteriori otto F35. “Un precedente grave – secondo i promotori della campagna – che rischia di compromettere qualsiasi controllo parlamentare sul programma F35 e un meccanismo che forse si cercherà di mettere in moto anche nelle prossime settimane”. CONTINUA:
fonte: ANTIMAFIADUEMILA.
La campagna "Taglia le ali alle armi" lancia la sua 'operazione verità' sui cacciabombardieri e, date e cifre alla mano, accusa Mario Mauro di aver "aggirato le prescrizioni del Parlamento" e di avere acquistato altri aerei, nonostante le mozioni votate a metà 2013 che imponevano la sospensione degli ordini.
L’ombra degli F35 si allunga sulla nascita del governo Renzi. In attesa di capire chi finirà a guidare la Difesa (in lizza ci sono Roberta Pinotti, Federica Mogherini e Arturo Parisi), la campagna “Taglia le ali alle armi”, promossa da Rete Disarmo, Sbilanciamoci e Tavola della Pace, lancia la sua ‘operazione verità’ sui cacciabombardieri della discordia e, date e cifre alla mano, muove una grave accusa al ministro Mario Mauro: aver “aggirato le prescrizioni del Parlamento” procedendo di nascosto all’acquisto di quattordici dei costosissimi aerei da guerra americani, nonostante le mozioni votate a metà 2013 che imponevano la sospensione degli ordini.
Nel rapporto “F35, la verità oltre l’opacità“, presentato a Roma dai pacifisti, è spiegato nel dettaglio come lo scorso autunno (27 settembre) la Difesa, “non informando correttamente il Parlamento” e sfruttando surrettiziamente “la pratica dei pre-accordi non vincolanti”, abbia non solo completato l’acquisto dei primi tre aerei, ma abbia anche confermato definitivamente l’ordine per ulteriori tre velivoli. “Non contento di una scelta già grave”, prosegue il rapporto, il ministero della Difesa “pochissimi giorni dopo l’approvazione delle mozioni” (il 18 luglio 2013) ha avviato da zero una nuova tornata di ordini versando anticipi per ulteriori otto F35. “Un precedente grave – secondo i promotori della campagna – che rischia di compromettere qualsiasi controllo parlamentare sul programma F35 e un meccanismo che forse si cercherà di mettere in moto anche nelle prossime settimane”. CONTINUA:
fonte: ANTIMAFIADUEMILA.
domenica 16 febbraio 2014
Matteo Renzi, lo Stato e la mafia
di Giorgio Bongiovanni - 14 febbraio 2014
Il giorno 25 agosto 2012 Matteo Renzi, intervistato dal Fatto quotidiano, alla domanda “Lei cosa ne pensa dell'eventuale costituzione civile da parte del Governo sulla trattativa Stato-mafia?” il sindaco di Firenze rispondeva: “Rivolgetevi all’ufficio stampa: sono allo stadio, sto guardando la partita, c’è la Fiorentina”. Immediata l’amara reazione di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili: “Non abbiamo mai avuto dubbi che per il primo cittadino di Firenze fosse più importante la Fiorentina, senza nulla togliere alla squadra viola, piuttosto che la strage di via dei Georgofili” esprimendo l’indignazione di tutti i familiari delle vittime “davanti al suo comportamento, perché la strage di via dei Georgofili c’è stata, che gli piaccia o no, anche se lui era troppo giovane per capire la gravità della cosa e diventando Sindaco di Firenze non si è dato di certo la pena di ragionare sulla trattativa Stato-mafia, che ha causato i nostri morti e i nostri feriti invalidi”.
Il nuovo leader del Pd, che evidentemente nutre scarso interesse per il problema della mafia e per il sostegno alle sue vittime, sarà probabilmente il nostro futuro Presidente del Consiglio. Con 136 voti favorevoli alla formazione di un nuovo governo, 16 contrari e 2 astenuti (in termini calcistici equivarrebbe ad un 4-0) il presidente Letta è stato clamorosamente battuto da Renzi alla direzione nazionale del Partito democratico.
Matteo Renzi, già sindaco di Firenze, se prenderà possesso della presidenza del consiglio troverà all’opposizione (o forse come alleato) Silvio Berlusconi, condannato definitivamente per gravissimi reati stabiliti dalla sentenza Mediaset, e un Presidente della Repubblica che riceve pregiudicati come l’ex cavaliere invece di metterli alla porta (oltre a prestare ascolto agli appelli dell’ex ministro Nicola Mancino, indagato per falsa testimonianza al processo per la trattativa Stato-mafia). Ora, perchè un Presidente della Repubblica riceve un pregiudicato? E perché il leader del Partito democratico si incontra con lo stesso? Senza contare il fatto che il nome di Silvio Berlusconi figurava nella lista degli indagati per mafia, nonostante non siano mai state raccolte prove sufficienti per confermare sul piano giudiziario i suoi legami con Cosa nostra (le due archiviazioni nell'ambito delle indagini sui mandanti esterni nelle stragi del '92 e '93).
Ancora, perché nel programma che Renzi presentò alle primarie del Pd la mafia è relegata ad uno degli ultimi posti, negandole l’urgenza e l’attenzione che invece meriterebbe? Non risulta, infatti, che il sindaco di Firenze abbia speso una sola parola, ad esempio, a sostegno del pm Nino di Matteo e degli altri magistrati di Palermo destinatari di ordini di morte che si occupano della trattativa Stato-mafia, o del pm Domenico Gozzo, che a Caltanissetta segue il processo sulla strage di via D’Amelio ed ha recentemente ricevuto inquietanti minacce. Così commentava la signora Chelli, a seguito della vittoria di Renzi alle primarie del Pd: “Nel suo primo discorso da segretario del Partito Democratico, Renzi ha citato il genocidio del Ruanda e il massacro di Srebrenica, le stragi di Lampedusa, della Terra dei fuochi e dell’Ilva di Taranto, la caduta del muro di Berlino”. “Ma il Sindaco di Firenze – proseguiva – parlando di questi vent’anni, non ha citato né Cosa Nostra che, ancora oggi, minaccia pericolosamente tutti noi, né la strage di via dei Georgofili”. “A noi la vittoria di Renzi ha solo fatto ampiamente ricordare la sua andata ad Arcore e la sua pessima abitudine di rievocare la strage di Via dei Georgofili solo e soltanto alle 1.04 degli anniversari, anniversari che ha sempre cercato di fare ‘suoi’, ma che non lo sono affatto. Anniversari che ha, oltretutto, caricato puntualmente di un’assoluta e logora retorica che, ogni anno, ci ha fatto stare veramente male, e sempre lo farà”.
Abbiamo un futuro Presidente del Consiglio che – fatta eccezione per poche sporadiche dichiarazioni – non ha mai affrontato seriamente la questione della lotta alla mafia. Non è dato sapere, stando al suo programma, se il leader del Pd voglia inasprire le attuali leggi antimafia e quelle carcerarie come il 41bis, se intenda creare (finalmente) una commissione parlamentare che indaghi sulle stragi del ’92 e ’93, stabilire delle riforme che snelliscano i tempi dei processi ed agevolare il coraggioso lavoro dei magistrati impegnati in prima linea nel contrasto alle criminalità organizzate, o fare un giro di vite sul reato di voto di scambio (il Senato ha approvato l'aumento della pena da 7 a 12 anni invece che da 4 a 10, che la Camera dovrà approvare a sua volta). In sostanza, potremmo trovarci con un Presidente del Consiglio nuovo ma uguale, o peggiore, degli altri. Nella malaugurata ipotesi che si concretizzi la sua nomina a premier, chiediamo a Matteo Renzi di dare una svolta alla sua linea politica, e conferire così alla lotta alla mafia – di fronte all’escalation di minacce nei confronti dei magistrati e alla celebrazione a Palermo del processo che potrebbe svelare gli oscuri legami tra Stato e mafia – la giusta attenzione che le spetta. Renzi dovrebbe avere il coraggio di mettere al primo posto dell'agenda di governo la lotta alla mafia e alla corruzione. Diversamente mostrerà il suo vero volto, quello del vecchio lupo, nefasto, vestito con il mantello dell'agnello, agli ordini del potere di quelle menti raffinatissime di oggi che servono il Principe di sempre.
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Renzi, non votatelo!
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Il nuovo leader del Pd, che evidentemente nutre scarso interesse per il problema della mafia e per il sostegno alle sue vittime, sarà probabilmente il nostro futuro Presidente del Consiglio. Con 136 voti favorevoli alla formazione di un nuovo governo, 16 contrari e 2 astenuti (in termini calcistici equivarrebbe ad un 4-0) il presidente Letta è stato clamorosamente battuto da Renzi alla direzione nazionale del Partito democratico.
Matteo Renzi, già sindaco di Firenze, se prenderà possesso della presidenza del consiglio troverà all’opposizione (o forse come alleato) Silvio Berlusconi, condannato definitivamente per gravissimi reati stabiliti dalla sentenza Mediaset, e un Presidente della Repubblica che riceve pregiudicati come l’ex cavaliere invece di metterli alla porta (oltre a prestare ascolto agli appelli dell’ex ministro Nicola Mancino, indagato per falsa testimonianza al processo per la trattativa Stato-mafia). Ora, perchè un Presidente della Repubblica riceve un pregiudicato? E perché il leader del Partito democratico si incontra con lo stesso? Senza contare il fatto che il nome di Silvio Berlusconi figurava nella lista degli indagati per mafia, nonostante non siano mai state raccolte prove sufficienti per confermare sul piano giudiziario i suoi legami con Cosa nostra (le due archiviazioni nell'ambito delle indagini sui mandanti esterni nelle stragi del '92 e '93).
Ancora, perché nel programma che Renzi presentò alle primarie del Pd la mafia è relegata ad uno degli ultimi posti, negandole l’urgenza e l’attenzione che invece meriterebbe? Non risulta, infatti, che il sindaco di Firenze abbia speso una sola parola, ad esempio, a sostegno del pm Nino di Matteo e degli altri magistrati di Palermo destinatari di ordini di morte che si occupano della trattativa Stato-mafia, o del pm Domenico Gozzo, che a Caltanissetta segue il processo sulla strage di via D’Amelio ed ha recentemente ricevuto inquietanti minacce. Così commentava la signora Chelli, a seguito della vittoria di Renzi alle primarie del Pd: “Nel suo primo discorso da segretario del Partito Democratico, Renzi ha citato il genocidio del Ruanda e il massacro di Srebrenica, le stragi di Lampedusa, della Terra dei fuochi e dell’Ilva di Taranto, la caduta del muro di Berlino”. “Ma il Sindaco di Firenze – proseguiva – parlando di questi vent’anni, non ha citato né Cosa Nostra che, ancora oggi, minaccia pericolosamente tutti noi, né la strage di via dei Georgofili”. “A noi la vittoria di Renzi ha solo fatto ampiamente ricordare la sua andata ad Arcore e la sua pessima abitudine di rievocare la strage di Via dei Georgofili solo e soltanto alle 1.04 degli anniversari, anniversari che ha sempre cercato di fare ‘suoi’, ma che non lo sono affatto. Anniversari che ha, oltretutto, caricato puntualmente di un’assoluta e logora retorica che, ogni anno, ci ha fatto stare veramente male, e sempre lo farà”.
Abbiamo un futuro Presidente del Consiglio che – fatta eccezione per poche sporadiche dichiarazioni – non ha mai affrontato seriamente la questione della lotta alla mafia. Non è dato sapere, stando al suo programma, se il leader del Pd voglia inasprire le attuali leggi antimafia e quelle carcerarie come il 41bis, se intenda creare (finalmente) una commissione parlamentare che indaghi sulle stragi del ’92 e ’93, stabilire delle riforme che snelliscano i tempi dei processi ed agevolare il coraggioso lavoro dei magistrati impegnati in prima linea nel contrasto alle criminalità organizzate, o fare un giro di vite sul reato di voto di scambio (il Senato ha approvato l'aumento della pena da 7 a 12 anni invece che da 4 a 10, che la Camera dovrà approvare a sua volta). In sostanza, potremmo trovarci con un Presidente del Consiglio nuovo ma uguale, o peggiore, degli altri. Nella malaugurata ipotesi che si concretizzi la sua nomina a premier, chiediamo a Matteo Renzi di dare una svolta alla sua linea politica, e conferire così alla lotta alla mafia – di fronte all’escalation di minacce nei confronti dei magistrati e alla celebrazione a Palermo del processo che potrebbe svelare gli oscuri legami tra Stato e mafia – la giusta attenzione che le spetta. Renzi dovrebbe avere il coraggio di mettere al primo posto dell'agenda di governo la lotta alla mafia e alla corruzione. Diversamente mostrerà il suo vero volto, quello del vecchio lupo, nefasto, vestito con il mantello dell'agnello, agli ordini del potere di quelle menti raffinatissime di oggi che servono il Principe di sempre.
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Pordenone: il sit in per i magistrati minacciati dalla mafia
di Margherita Furlan - 14 febbraio 2014
Alternativa, laboratorio politico culturale internazionale fondato da Giulietto Chiesa, ha organizzato sabato 1° febbraio a Pordenone, nella centralissima Piazzetta Cavour, un sit in per appoggiare tutti i magistrati che sacrificano quotidianamente la propria vita dentro e fuori le aule dei tribunali nella lotta alla mafia. L’evento ha visto la stretta collaborazione, nell’organizzazione e nelle finalità, del movimento Agende Rosse di Salvatore Borsellino, dell’Associazione Culturale Il Sicomoro di Pordenone, di Azione Civile, movimento politico che ha come leader l’ex pubblico ministero dottor Antonio Ingroia.
Numerosa la partecipazione della cittadinanza nonostante il maltempo e la copiosa pioggia che ha cessato di cadere solo per il tempo necessario alla manifestazione, come d’incanto.
Il 27 maggio 2013 si è svolta a Palermo la prima udienza del processo sulla trattativa Stato Mafia che vede come imputati i capimafia Totò Riina e Bernardo Provenzano, ma anche gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, i senatori Marcello Dell'Utri e Calogero Mannino, accusati di attentato a un corpo politico, l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, che risponde per falsa testimonianza, Giovanni Conso, Adalberto Capriotti e Giuseppe Gargani per aver fornito false informazioni ai pubblici ministeri. Oggetto della trattativa che avrebbe portato anche alle stragi di Capaci e Via D’Amelio, uccidendo Falcone, Borsellino e le loro scorte, il “papello” che, con dodici richieste allo Stato da Cosa nostra, allora comandata dallo stesso Riina, passò attraverso le mani di Vito Ciancimino.
I magistrati impegnati nella ricerca della verità su una tragica stagione che ha cambiato le sorti della storia italiana sono vittime di minacce di morte provenienti dagli ambienti della criminalità organizzata e sovente le istituzioni non rispondono adeguatamente alle esigenze di protezione di cui necessitano.
Dinanzi alla profonda preoccupazione per la sorte dei magistrati Principato, Scarpinato, Gozzo, Viola, Torondo, Sabella, Di Matteo, Teresi, Del Bene, Tartaglia, i cittadini a Pordenone si sono uniti in una manifestazione pacifica sotto l’egida della cultura della giustizia e della legalità, nell’accezione della convivenza civile e del rifiuto alla sopraffazione. Esiste una parte sana della società che non solo chiede venga fatta piena luce sullo stragismo mafioso e le presunte convergenze d’interessi fra pezzi dello Stato e criminalità organizzata, ma che risponde alle minacce della mafia dichiarando apertamente la volontà di coprire i segni di debolezza delle istituzioni dinanzi alla mafia.
Di recente Nino Di Matteo, sostituto procuratore presso il Tribunale di Palermo, è stato vittima delle minacce di morte presenti nelle dichiarazioni di Totò Riina, intercettate nel carcere di Opera. In queste ultime lo stesso Antonio Ingroia ha ravvisato un “nuovo papello” (ndr Il Fatto Quotidino, 31.01.2014).
I cittadini chiedono affinchè sia completamente attuata la democrazia che venga dichiarata la verità su uno dei periodi più sanguinosi e oscuri del dopoguerra italiano che si approntino, senza indugio, tutti i mezzi a disposizione per tutelare al meglio la vita dei magistrati che indagano sulla trattativa e sulla mafia.
Le associazioni aderenti all’iniziativa, unite dagli alti valori e principi sanciti nella Costituzione della Repubblica Italiana, chiedono al Ministero degli Interni l’assegnazione a Nino Di Matteo del Bomb Jammer, dispositivo di disinnesco elettronico delle bombe telecomandate a distanza, di cui è già dotato per motivi istituzionali il Presidente Napolitano. Nello stesso tempo, viene fatta richiesta al CSM di revocare il provvedimento disciplinare indetto nei confronti del magistrato, per non ripercorrere in toto una storia già vista nei decenni scorsi.
In nome della giustizia, della verità, della democrazia, della libertà i cittadini italiani si sono uniti ancora una volta e tante altre lo faranno. Ogni volta si sviluppano riflessione e consapevolezza e le radici di una nuova società libera dal sopruso e dalla disinformazione si strutturano e fortificano.
Foto © Castolo Giannini
fonte: antimafiaduemila.
Alternativa, laboratorio politico culturale internazionale fondato da Giulietto Chiesa, ha organizzato sabato 1° febbraio a Pordenone, nella centralissima Piazzetta Cavour, un sit in per appoggiare tutti i magistrati che sacrificano quotidianamente la propria vita dentro e fuori le aule dei tribunali nella lotta alla mafia. L’evento ha visto la stretta collaborazione, nell’organizzazione e nelle finalità, del movimento Agende Rosse di Salvatore Borsellino, dell’Associazione Culturale Il Sicomoro di Pordenone, di Azione Civile, movimento politico che ha come leader l’ex pubblico ministero dottor Antonio Ingroia.
Numerosa la partecipazione della cittadinanza nonostante il maltempo e la copiosa pioggia che ha cessato di cadere solo per il tempo necessario alla manifestazione, come d’incanto.
Il 27 maggio 2013 si è svolta a Palermo la prima udienza del processo sulla trattativa Stato Mafia che vede come imputati i capimafia Totò Riina e Bernardo Provenzano, ma anche gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, i senatori Marcello Dell'Utri e Calogero Mannino, accusati di attentato a un corpo politico, l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, che risponde per falsa testimonianza, Giovanni Conso, Adalberto Capriotti e Giuseppe Gargani per aver fornito false informazioni ai pubblici ministeri. Oggetto della trattativa che avrebbe portato anche alle stragi di Capaci e Via D’Amelio, uccidendo Falcone, Borsellino e le loro scorte, il “papello” che, con dodici richieste allo Stato da Cosa nostra, allora comandata dallo stesso Riina, passò attraverso le mani di Vito Ciancimino.
I magistrati impegnati nella ricerca della verità su una tragica stagione che ha cambiato le sorti della storia italiana sono vittime di minacce di morte provenienti dagli ambienti della criminalità organizzata e sovente le istituzioni non rispondono adeguatamente alle esigenze di protezione di cui necessitano.
Dinanzi alla profonda preoccupazione per la sorte dei magistrati Principato, Scarpinato, Gozzo, Viola, Torondo, Sabella, Di Matteo, Teresi, Del Bene, Tartaglia, i cittadini a Pordenone si sono uniti in una manifestazione pacifica sotto l’egida della cultura della giustizia e della legalità, nell’accezione della convivenza civile e del rifiuto alla sopraffazione. Esiste una parte sana della società che non solo chiede venga fatta piena luce sullo stragismo mafioso e le presunte convergenze d’interessi fra pezzi dello Stato e criminalità organizzata, ma che risponde alle minacce della mafia dichiarando apertamente la volontà di coprire i segni di debolezza delle istituzioni dinanzi alla mafia.
Di recente Nino Di Matteo, sostituto procuratore presso il Tribunale di Palermo, è stato vittima delle minacce di morte presenti nelle dichiarazioni di Totò Riina, intercettate nel carcere di Opera. In queste ultime lo stesso Antonio Ingroia ha ravvisato un “nuovo papello” (ndr Il Fatto Quotidino, 31.01.2014).
I cittadini chiedono affinchè sia completamente attuata la democrazia che venga dichiarata la verità su uno dei periodi più sanguinosi e oscuri del dopoguerra italiano che si approntino, senza indugio, tutti i mezzi a disposizione per tutelare al meglio la vita dei magistrati che indagano sulla trattativa e sulla mafia.
Le associazioni aderenti all’iniziativa, unite dagli alti valori e principi sanciti nella Costituzione della Repubblica Italiana, chiedono al Ministero degli Interni l’assegnazione a Nino Di Matteo del Bomb Jammer, dispositivo di disinnesco elettronico delle bombe telecomandate a distanza, di cui è già dotato per motivi istituzionali il Presidente Napolitano. Nello stesso tempo, viene fatta richiesta al CSM di revocare il provvedimento disciplinare indetto nei confronti del magistrato, per non ripercorrere in toto una storia già vista nei decenni scorsi.
In nome della giustizia, della verità, della democrazia, della libertà i cittadini italiani si sono uniti ancora una volta e tante altre lo faranno. Ogni volta si sviluppano riflessione e consapevolezza e le radici di una nuova società libera dal sopruso e dalla disinformazione si strutturano e fortificano.
Foto © Castolo Giannini
fonte: antimafiaduemila.
mercoledì 5 febbraio 2014
Di Maio: tutte le inesattezze della Boldrini a Che tempo che fa!
lunedì 3 febbraio 2014
"Per evitare che l'Italia torni alla sovranità monetaria anche in caso di uscita dall'euro"
Il prof. Nino Galloni sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia
di Alessandro Bianchi
Nino Galloni. Economista. Ha insegnato all'Università Cattolica di Milano, all'Università di Modena ed alla Luiss. Dal 2010 è membro effettivo del collegio dei sindaci all'INPS. Autore di Chi ha tradito l'economia italiana? e Prendi i tuoi soldi e... scappa? La fine della globalizzazione.
- Ancora in discussione in Aula in queste ore il decreto che intende imporre una rivalutazione delle quote di Bankitalia, ferme ai 156 mila euro di valore del 1936. Il capitale - se il decreto legge stilato da Saccomanni il 26 novembre scorso dovesse essere convertito entro stasera - passerà a 7,5 miliardi di euro di riserve della Banca centrale e agli azionisti, principalmente banche private, sarà garantito un dividendo del 6%, quindi fino a 450 milioni di euro di profitti l'anno. Infine, le quote della Banca di Italia potranno essere vendute a soggetti stranieri purché comunitari. Si tratta dell'ennesimo regalo, ormai neanche così tanto mascherato, alle banche o c'è qualcos'altro di più dietro questa iniziativa del governo Letta?
La questione è sicuramente più complessa del regalo alle banche su cui
si sofferma gran parte del dibattito oggi. Non è quella la reale posta
in gioco e sono altri due i punti chiavi che devono essere compresi.
Primo. Si vuole evitare che, anche in caso di uscita
dall'Italia dall'euro, il Paese possa tornare ad esercitare in futuro la
piena sovranità monetaria con una Banca nazionale attiva.
Mentre oggi con un capitale di 156 mila euro sarebbe piuttosto agevole
rendere nuovamente pubblica la Banca Centrale e salvare anche le nostre
lire, con il decreto deciso dal governo Letta diventa praticamente
impossibile. Per ripristinare la sovranità monetaria, nel caso
dell'Eurexit e nel caso che dovesse passare questo decreto, l'unica
soluzione sarebbe creare una nuova Banca d'Italia. Operazione
chiaramente molto complessa. Comunque, la vicenda è un segnale di forte
debolezza da parte di chi oggi combatte per sostenere l'euro.
Secondo punto. A parte i regali a questa o quella entità
bancaria, vi è una questione molto più delicata e riguarda il Monte dei
Paschi di Siena. Il suo presidente Alessandro Profumo
ha dichiarato recentemente che se non si fa la ricapitalizzazione
subito di Mps salta tutto il sistema bancario italiano. Traduzione: se
non si fa la ricapitalizzazione e Mps diventa pubblica comprerà il
denaro dalla Bce allo 0,25%, lo rivenderà allo Stato allo 0,30% e,
quindi, quella differenziale di guadagno che oggi hanno le banche dai
tassi d'interesse sui titoli di Stato e lo 0,25% non lo ricaveranno più.
Sono questi i due aspetti più importanti della questione che devono
essere compresi per avere piena consapevolezza della posta in gioco.
- Con questo decreto si vuole quindi assicurare che, qualunque sia
lo scenario politico che si produrrà a seguito dell'immane crisi
economica in atto, lo stato non possa comunque riappropriarsi della sua
sovranità monetaria?
Si lo ribadisco è il primo punto. La vera battaglia in corso
non è solo tra pro-euro o anti-euro, ma che scenario abbiamo in mente in
caso di uscita dalla moneta unica. Lo si farà ripristinando la
sovranità monetaria e degli Stati o rimanendo schiavi con monete
diverse dall'euro? Questo decreto sulla Banca d'Italia è il segnale di
cosa? Il fronte anti euro non è oggi una realtà omogenea e si divide tra
coloro che vogliono uscire dall'euro a qualunque costo e quelli che
vogliono farlo ripristinando la sovranità monetaria. E l'obiettivo,
oggi, è tagliare la strada a questi ultimi ed evitare che il giorno dopo
che salta l'euro, magari nei modi più imprevedibili, lo Stato possa
tornare ad esercitare la piena sovranità monetaria. Certamente lo
scenario che si creerebbe in questo modo sarebbe di grande confusione
con conseguenze che non si possono oggi prevedere, ma gravi.
- Qual è un modello sano di governance di Banca centrale da prendere a modello?
Lo è sicuramente quello dell'Inghilterra, dell'Australia o degli Stati
Uniti d'America, se poi i dollari non li stampassero per questioni
discutibili. In generale, quello che vedo è che solo la vecchia Europa
abbia deciso di abdicare alla propria sovranità monetaria. Non è da
tutti avere rinunciato ad una funzione così essenziale. In futuro, la Banca d'Italia, dovrà essere autonoma ma non indipendente.
- Anche se i media tradizionali hanno praticamente deciso di non
occuparsi della questione, l'opinione pubblica si è mobilizzata sulla
vicenda della ricapitalizzazione delle quote di Bankitalia ed in aula
alcuni gruppi parlamentari, soprattutto il Movimento cinque stelle, si
sono resi protagonisti di una dura azione di ostruzionismo sulla
conversione del decreto. Ritiene che ci siano possibilità concrete che
alla fine il governo possa fare un passo indietro?
Me lo auguro. Sicuramente ci si è mossi in ritardo, ma ora che è stata raggiunta una piena consapevolezza è importante proseguire in questa azione.
Soprattutto per il Movimento cinque stelle sarebbe una vittoria
mediatica importante, di risposta a tutti coloro che l'accusano di
muoversi solo su questioni secondarie. Questa è una vicenda di
fondamentale importanza per il futuro del nostro Paese.
26 gennaio 2014 Imposimato conferma: “Moro fu ucciso per volere di Andreotti e Cossiga, responsabili della stragi: da Piazza Fontana a Via D’Amelio”
Ferdinando
Imposimato torna a parlare del caso del rapimento e dell’uccisione di
Aldo Moro e lo fa puntando il dito contro quelli che allora erano i
vertici dello stato e della Democrazia Cristiana: Giulio Andreotti e
Francesco Cossiga. L’ex giudice istruttore della vicenda dice:
“L’uccisione di Moro è avvenuta per mano delle Brigate Rosse, ma anche e
soprattutto per il volere di Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e del
sottosegretario Nicola Lettieri”. Poi ha aggiunto: “Se non mi fossero
stati nascosti alcuni documenti li avrei incriminati per concorso in
associazione per il fatto. I servizi segreti avevano scoperto dove le Br
lo nascondevano, così come i carabinieri. Il generale Dalla Chiesa
avrebbe voluto intervenire con i suoi uomini e la Polizia per liberarlo
in tutta sicurezza, ma due giorni prima dell’uccisione ricevettero
l’ordine di abbandonare il luogo attiguo a quello della prigionia”.
“Quei politici – ha detto Imposimato – sono responsabili anche delle
stragi: da Piazza Fontana a quelle di Via D’Amelio. Lo specchietto per
le allodole si chiama Gladio. A Falcone e Borsellino rimprovero soltanto
di non aver detto quanto sapevano, perché avevano capito e intuito
tutto, tacendo per rispetto delle istituzioni. Per ucciderli Cosa Nostra
ha eseguito il volere della Falange Armata, una frangia dei servizi
segreti”. Ferdinando Imposimato appena un mese fa ha presentato un
esposto alla Procura di Roma, affermando che le forze dell’ordine
sapevano dove si trovava la prigione di Aldo Moro. Per questo i
magistrati hanno aperto un fascicolo per valutare se esistano i
presupposti per riaprire il caso Moro. Nel testo di Imposimato ci sono
le rivelazioni di 4 appartenenti a forze dell’ordine e armate secondo
cui il covo Br di via Montalcini fu monitorato per settimane. Ma non è
tutto: recentemente la Procura di Roma ha aperto un fascicolo di
indagine relativo alle dichiarazioni di due artificieri, che hanno
raccontato come il ritrovamento della Renault 4 contenente il cadavere
di Moro sia avvenuto alle 11, e come sul posto fosse stato presente fin
da subito Francesco Cossiga. -
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FONTE:
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