Programma di Alternativa-Politica

giovedì 27 dicembre 2012

Decisioni preventive contro la guerra

di Giulietto Chiesa La Voce delle Voci.

Ho seguito a Kuala Lumpur, Malaysia, le sedute del Tribunale Internazionale costituito su iniziativa della Perdana Global Peace Foundation, una creatura dell'ex primo ministro Mahatir Mohammad

Numerosi testimoni palestinesi della Striscia di Gaza hanno sfilato sotto le domande di avvocati e giuristi di Stati Uniti, Asia ed Europa. E io ho provato una sensazione di irrealtà ascoltando le vittime del 2008 (sotto esame erano le violenze della cosiddetta «Operazione Piombo Fuso») mentre sugli schermi televisivi scorrevano le immagini dei bombardamenti israeliani su Gaza del novembre 2012. Una mostruosa conferma di cos'è diventata la comunità internazionale e del suo cinismo. 

Una delle testimonianze, soprattutto, mi ha colpito: quella di Salah al-Ammouni, dal villaggio di Al Zaitun. Vi ha perduto 21 parenti, tra cui il padre, la madre, la sua unica bambina. Altri tre figli e la moglie, feriti gravemente, si sono salvati da un massacro in cui hanno perso la vita, in tutto, 91 persone. Solo in quel villaggio. 

Non ci fu nulla di casuale. Non ci fu errore. I soldati israeliani sapevano che non c'erano armati e armi nel villaggio. Le persone, tutti civili, con decine di bambini, furono costrette a radunarsi in un edificio ancora in costruzione, dopo essere stati assediati per giorni, senza cibo né acqua. E, quando il raduno fu concluso, l'edificio venne bombardato a colpi di razzi. Tutto il villaggio - come ampiamente registrato da video girati da mani non professionali mostravano - venne raso al suolo dai bulldozer israeliani, senza nemmeno dare il tempo ai rimasti di estrarre i cadaveri.

Mi soffermo su questo episodio (i morti a Gaza furono circa 1400) perché dimostra una cosa precisa, che i media filo sionisti italiani (cioè quasi tutti) oscurano sistematicamente: obiettivo di queste offensive contro Gaza è stato, ed è, quello di costringere i palestinesi a fuggire. Vogliono farli andare via. è la pulizia etnica, effettuata in puro stile nazista. È la stessa tattica che, da decenni, viene applicata nei territori occupati. Essa dice che Israele non intende fare nessuna pace con il popolo palestinese. E dice che Israele non accetta e non accetterà mai che uno Stato palestinese indipendente possa formarsi su quella misera parte di territorio che è stata loro concessa e sulla quale non possono vivere perché accerchiati, affamati, senza libertà di movimento, senz'acqua. 

Ma credo che questa volta ci siano anche altri significati. Israele ha sperimentato i suoi nuovi missili terra-aria, che abbatteranno i missili iraniani in arrivo in caso di guerra. Israele si prepara a una nuova guerra, che scatenerà dopo la caduta dell'ultimo baluardo incontrollato dagli Stati Uniti nel Mediterraneo, cioè dopo la fine di Bashar el-Assad. Prima liquidando Hamas, poi Hezbollah, infine andando a scontrarsi con Teheran. Ormai l'operazione di divisione dei palestinesi è giunta a termine. Al Fatah è interamente in mani amero-israeliane. Hamas è stato catturato dal Qatar. Bisogna togliere di mezzo Hezbollah. I Fratelli Musulmani sono già d'accordo con Washington e il fronte egiziano è garantito. 

Dunque sarà opportuno prepararsi. Vale per noi europei, che siamo corresponsabili, come lo sono sempre stati gli Stati Uniti, per avere permesso a Israele di proseguire sulla linea dell'Apocalisse

Ma di queste cosa non si può parlare in Italia, nel mainstream dominato dal sionismo. Un paese che ha un presidente della repubblica che, di fronte al massacro di centinaia, migliaia di civili palestinesi, non rinuncia a tacere e rivendica il diritto di Israele alla propria difesa.

Con questo presidente e con il futuro presidente dobbiamo sapere che l'Italia sarà di nuovo trascinata in un'avventura militare. 

Per questo dobbiamo proclamare a gran voce, e mettere in ogni programma di governo del paese, la decisione preventiva che l'Italia non parteciperà a nessuna operazione militare. Preventiva, insisto, di nessun tipo e per nessuna ragione. Perché farlo dopo sarà tardi.


Non muoiono soltanto i bambini americani

di Maurizio Chierici - 18 dicembre 2012
La tenerezza per i bambini uccisi fra i banchi di scuola fa battere il cuore di Obama. Non si commuovono Smith & Wesson, Sturm Rugger e le catene commerciali Cabela e Big 5 Sporting Goods, vetrine di armi in ogni angolo degli Stati Uniti.
Il presidente prova a disinnescare la follia, braccio di ferro non facile con i mercanti della morte. E il dolore continua. E il sorriso dei bambini assassinati da uno squilibrato e dal sadismo di un sistema sconvolge le Tv: ormai sono figli di tutti. Nelle stesse ore missili e bombe hanno ucciso 3 bambini in Siria, 7 attorno alla frontiera del petrolio Sud Sudan, mentre in Afghanistan il massacro di un marines “impazzito” ha steso il bambino numero 3421 dal Natale 2002. Ci sarebbero 11 ragazzine dilaniate durante i funerali dei piccoli di Newtown. Forse una mina talebana che ogni giornale del mondo sta coprendo di insulti. Silenzio sul marines, bocche cucite. Scenari di guerra: se non si uccide qualcuno che guerra è? Senza contare le ragnatele di mercati e delocalizzazioni che cancellano la dignità della persone contemplata nello statuto delle Nazioni Unite. Schiavi da spremere. E ogni 5 secondi chi ha meno di 5 anni chiude gli occhi per fame, 7 milioni da un capodanno all’altro. Mentre oro, petrolio e chissà quale mirra rallegrano i nostri caveaux. Nessuna responsabilità di missili e superbombardieri, ma la filosofia non cambia: i popoli restano comparse nei registri di Wall Street impegnata a contenere la crisi con la buona salute dell’industria pesante. Bombardieri e carriarmati, qualcuno deve pur fabbricarli. Piazziste insuperabili organizzazioni come la Nato: aggiorna freneticamente gli arsenali con macchine di nuova generazione distribuite a chi difende il mondo libero e a chi vuole destabilizzarlo. L’importante è vendere e indebitare per tranquillizzare le Borse, mentre i bilanci pubblici stringono le corde della vita di ogni giorno. Pane, scuola, casa e acqua non sono ormai per tutti. Siamo informati di ogni sorriso dei bambini americani; restano senza nome i bambini bruciati nei paesi marginali. Solo numeri, emozioni trascurate. Tanto chi li conosce? Altri 2 bambini sparati in Nigeria, 4 nel Congo. Per non parlare dell’America Latina di qualche anno fa. Tornavamo dal Salvador con le immagini delle “stanze della morte”. Per costringere padri e madri a tradire le guerriglie anti dittatura, squadroni invisibili portavano via i figli. Se i genitori non collaboravano una telefonata avvertiva dove trovarli: tre bambine inchiodate al pavimento, agonia straziante. Era il 1982, ogni mattina la Washington di Reagan nutriva con 6 milioni di dollari e consiglieri speciali le forze armate che difendevano i valori del cristianesimo dalla minaccia comunista. In una solitudine disperata il vescovo Romero denunciava il silenzio vaticano. Voce da spegnere: uno sparo in chiesa, delitto dal colpevole sistemato attorno a Miami. Permetteranno a Obama di bloccare il mercato di rivoltelle e F35 venduti come giocattoli? Dopo i giorni delle lacrime, torneranno i giorni delle lobby.
 

sabato 22 dicembre 2012

Banche, una condanna storica

Deutsche Bank, Depfa Bank, Ubs e Jp Morgan colpevoli di truffa ai danni di Palazzo Marino. Confiscati 88 milioni ai quattro istituti di credito che avevano raggirato il Comune con prodotti derivati di Luca Fazio - il manifesto.



MILANO. Anche le banche piangono. E questa è una prima assoluta. Mondiale. Il «miracolo» accade a Milano, dove quattro banche (e nove manager) sono state condannate perché riconosciute colpevoli di una truffa ai danni di Palazzo Marino - governava Letizia Moratti - che nel 2005 aveva investito su alcuni prodotti finanziari «derivati». Cosa sono? In sintesi, si tratta di prodotti finanziari il cui valore «deriva» dall'andamento del valore di un altro bene (azioni, obbligazioni, valute...), è una specie di scommessa sul comportamento futuro di un titolo o una quotazione. In Italia ci sono più di settecento enti pubblici che hanno stipulato con le banche contratti di questo tipo, e sono finiti nei guai.

«L'Italia è stata terra di scorribande - ha commentato il pm Alfredo Robledo - a differenza per esempio dell'Inghilterra, dove i derivati sono vietati».  La sentenza di ieri è storica. Il giudice del tribunale di Milano, Oscar Magi, ha condannato per truffa aggravata quattro banche straniere tra le più importanti del mondo stabilendo anche la confisca di circa 88 milioni di euro (Deutsche Bank, Depfa Bank, Ubs e Jp Morgan). I quattro istituti di credito avrebbero truffato 100 milioni di euro al Comune di Milano con contratti stipulati con le giunte di centrodestra di Letizia Moratti e Gabriele Albertini. Le banche condannate dovranno anche versare un milione di euro ciascuna come sanzione pecuniaria. L'unico precedente giuridico che va nella stessa direzione riguarda una sentenza amministrativa pronunciata in Inghilterra negli anni '90

Il giudice ha anche condannato nove persone, tra manager ed ex lavoratori degli istituti di credito. Antonio Creanza (Jp Morgan) e Marco Santarcangelo (Depfa) sono stati condannati a 8 mesi e 15 giorni, Tommaso Ziboldi (Deutsche Bank) a 7 mesi e 15 giorni, Gaetano Bassolino (Ubs, figlio dell'ex presidente della Campania) a 7 mesi. Tutte le condanne prevedono la sospensione della pena e il divieto di contrattare per un anno con la pubblica amministrazione. 

Il pm Alfredo Robledo è particolarmente soddisfatto e parla di sentenza storica. «E' la prima al mondo - spiega - ad affermare il principio che per esserci affidabilità deve esserci trasparenza. Le banche hanno raggirato il Comune di Milano, c'è stata una vera aggressione alla comunità per l'opacità assoluta dell'operazione e alla fine Palazzo Marino si è fatto irretire». Secondo l'accusa le quattro banche avrebbero stipulato un derivato trentennale senza informare Palazzo Marino dei rischi dell'operazione. Il Comune di Milano, che si era costituito parte civile, un anno fa - con la nuova giunta Pisapia - è uscito dal processo dopo un accordo di transazione di circa 455 milioni di euro, un passaggio che negli anni porterà nelle casse comunali altri 300 milioni di euro.

E le banche come l'hanno presa? Male. Malissimo. Tutte e quattro ricorreranno in appello, nella convinzione di essere assolte. Non sono abituate a perdere, soprattutto nei tribunali. «Ubs esprime disappunto per il verdetto», si legge in una nota scritta dall'istituto di credito. «Ubs ritiene che la propria condotta e quella dei propri dipendenti siano state del tutto conformi alla legge. Ubs e le persone coinvolte perseguiranno con determinazione tutte le possibilità di appello». 


Jp Morgan è «delusa dalle decisioni del giudice». Il legale di Deutsche Bank dice di «non condividere nulla di questa decisione, ma è una sentenza che va rispettata come tutte». Il Codacons, invece, non si accontenta. «Ora - dice il presidente dell'associazione Marco Maria Donzelli - i cittadini milanesi andrebbero risarciti per le maggiori tasse che in questi anni hanno dovuto pagare per colpa dei soldi persi in queste operazioni speculative». Secondo il Codacons, l'emissione di prodotti finanziari derivati andrebbe proibita per legge, «agli enti locali deve essere impedito di poter fare operazioni su prodotti ad alto rischio mettendo in pericolo i soldi dei cittadini, noi diciamo no a quella finanza allegra che ci ha condotto alla crisi di oggi». 

Fonte: il manifesto -  20 dicembre 2012.
  

lunedì 17 dicembre 2012

leccalecca e caramelle "come si sono ridotti"

    Sabato 15 Dicembre, 2012
    CORRIERE DELLA SERA
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Gelati, lecca-lecca, iPad Le spese caricate sul bilancio «Pagata una festa di nozze»
MILANO — Senza regole e, più ancora, senza stile. L'assalto alle note spese rimborsate «per il funzionamento dei gruppi» del consiglio della Regione Lombardia, infatti, visto con le lenti degli scontrini costati ieri 22 inviti a comparire per peculato ad altrettanti consiglieri di Pdl e Lega, nemmeno pulsa della ribalda "nobiltà" di illustri predecessori che nel Lazio si erano fatti la villa o avevano acquistato il Suv con i soldi dei cittadini: qui al Pirellone c'è solo gente che, pur guadagnando almeno 9.000 euro netti al mese di stipendio comprensivo di diaria, e pur essendo già dotata di telefoni e computer gratis, con gli ulteriori fondi pubblici «per il funzionamento del gruppo consiliare» si fa rimborsare il cono gelato da 1 euro e 50, il lecca-lecca, l'ovetto-Kinder e una clessidra; compra la salsiccia dal macellaio, va dal panettiere, segna uno dietro l'altro a distanza di pochi minuti i caffè con brioche da 1 euro e 60 al bar, beve una birra al pub; acquista in tabaccheria blocchi di «gratta e vinci», mette in lista un farmaco e il relativo ticket da 21 euro, e a Capodanno accolla ai contribuenti i fuochi d'artificio.
Tartufi e ostriche
Perfino le trasgressioni culinarie sono un po' da filmetto di serie B. Come nei «due coperti» da 127 euro di ostriche rimborsati al leghista Pierluigi Toscani. O come il pasto al ristorante «il Baretto al Baglioni» il 23 ottobre 2010 che l'ex presidente leghista del consiglio regionale Davide Boni qualifica «spesa di rappresentanza» nei «rapporti consiglio-giunta e nuova sede con il Sottosegretario Expo 2015», consumando 30 grammi di tartufo per 180 euro su 644 di conto. Il tartufo deve essere una passione: Giorgio Pozzi si fa rimborsare una cena «con rappresentanti dell'imprenditoria locale» il 23 dicembre 2010 sempre al «Baretto» dove, su un conto di 3.320 euro, 200 sono di vini, 400 di champagne e ben 882 di tartufi in un «privé» il cui utilizzo costa da solo 150 euro.
Sushi e ospitalità
Quando a saldare i conti è indirettamente il contribuente, diventa più facile largheggiare in generosità: sempre Pozzi, ad esempio, ottiene il rimborso di 5.500 euro spesi al ristorante «Il Gatto Nero» di Cernobbio il 30 luglio 2010 per una «cena istituzionale con operatori e imprenditori locali» offerta a 55 persone. Alessandro Colucci oscilla invece tra gli arancini da 5 euro e il sushi da 127 euro per due coperti al ristorante «Nobu Armani».
I taxi, il Natale, Parigi
Del resto la madre di tutte le ambiguità è il concetto in sé di «materiale di rappresentanza», tipo quello che Boni compra per 11.164 euro a Napoli tra il 28 e il 30 dicembre 2010: 75 cravatte in seta, 3 sciarpe in cashmere, 7 foulard in seta. Per definizione, nulla è più di «rappresentanza» come le colazioni e le cene al ristorante, che insieme a una marea di taxi sono la voce più ricorrente e corposa nei rimborsi ritenuti dubbi dagli uomini della GdF milanese che con i pm Robledo-Filippini-D'Alessio già avevano indagato sul finanziamento pubblico alla Lega e prima ancora sui derivati del Comune di Milano. L'ex assessore Buscemi, ad esempio, al ristorante milanese «A Riccione» sostiene «spese di rappresentanza» per 380 euro proprio alla viglia di Natale, 24 dicembre 2009, e per 695 euro proprio l'ultimo dell'anno, 31 dicembre 2009.
Altre volte Buscemi qualifica come «spese di rappresentanza» il ritiro di pietanze da asporto presso ristoranti giapponesi e cinesi. E quando un evento legato all'Expo propizia un soggiorno istituzionale a Parigi, all'«Hotel Park Hyatt» paga 638 euro con carta di credito della Regione anche se dalla fattura dell'albergo sembrerebbe che i servizi ricettivi siano stati offerti a «2 persone».
Matrimonio
Tante cose potranno forse essere chiarite, e certo ce n'è parecchie da mettere a fuoco. Il capogruppo leghista Stefano Galli, ad esempio, che il 5 marzo 2009 mette in lista 8 euro per la ricarica di una penna, sostiene il 16 giugno 2010 al Ristorante «Toscano» una asserita spesa «di funzionamento» del gruppo anche se il ristoratore, interrogato come teste, ha affermato che quella spesa, 6.180 euro per 103 coperti, riguardava di certo un matrimonio.
Ovetti e Mignottocrazia
L'orizzonte degli scontrini è il più vario. Alessandro Marelli, pur non disdegnando di acquistare pc e cellulari, esibisce 4 euro per una birra spina media al pub e 9,90 euro per un tubetto di ovetti Kinder con sorpresa, e si fa rimborsare le sigarette e persino i coni gelato come Pierluigi Toscani, che non manca 752 euro di cartucce e non disdegna i tagliandi «win for live». Nicole Minetti sceglie invece di spaziare dagli 899 euro per l'iPhone5 ai 27 euro per «barattoli di sabbia in vetro giallo», dagli 832 auro di «consumazioni» all'Hotel Principe di Savoia ai pochi euro per una crema da viso. Ed è al gruppo consiliare pdl che l'imputata nel processo Ruby accolla i 16 euro spesi per comprare il libro «Mignottocrazia» scritto da Paolo Guzzanti.
«Si può vivere così?»
Ciascuno ha le sue predilezioni. Angelo Giammario (114mila euro contestati sul 2008-2012, più di lui solo il capogruppo pdl Paolo Valentini con 118.000) suole affittare un'auto con conducente da Basiglio a Milano. Cesare Bossetti, intestatario del rimborso della tazzina di caffè al bar come del farmaco da 21 euro, ricorre alle spese di funzionamento del gruppo per 14 cornici per 672 euro il 2 agosto 2010, e per altre 8 cornici il 7 luglio per 384 euro. Giulio Boscagli, il cognato di Formigoni, compra tre iPad per 2.626 euro. E mentre Roberto Pedretti si fa rimborsare 960 euro per un ingrandimento fotografico, per il suo collega Marcello Raimondi, che attinge spesso ai soldi pubblici per il rifornimento di carburante, l'1 marzo 2008 è invece giorno di acquisti tecnologici: una macchina fotografica da 520 euro, una telecamera da 230, un proiettore da 720, un computer da 1.390. Ma una decina di giorni dopo si dà anche ai libri. Titolo: «Si può vivere così?».
Luigi Ferrarella
lferrarella@corriere.it
Giuseppe Guastella
gguastella@corriere.it
IL CORRIERE DELLA SERA

giovedì 13 dicembre 2012

Putin dichiara guerra alle ricchezze «offshore»

«Essere un patriota vuol dire per prima cosa servire nel proprio Paese». Nel discorso annuale alla Nazione - il primo dal ritorno alla presidenza - Vladimir Putin ha citato ieri Aleksandr Solzhenitsyn, per poi aggiungere: «Spesso i nostri imprenditori sono accusati di mancanza di patriottismo».

La campagna contro l'abitudine di aziende, funzionari pubblici e uomini d'affari di mantenere all'estero denaro, proprietà immobiliari e azioni è stata al centro dell'intervento di Putin, 80 minuti nella grande Sala di San Giorgio al Cremlino davanti ai deputati delle due Camere riunite e alle massime autorità del Paese. Che lo hanno applaudito così calorosamente da costringerlo a interrompersi: «Aspettate, magari questo non vi piacerà», ha ironizzato Putin. Illustrando la legge che obbligherà i funzionari di Stato - presidente compreso - a dichiarare le proprietà all'estero, e la provenienza dei redditi che ne hanno reso possibile l'acquisto. Verranno imposti limiti su conti bancari e titoli detenuti fuori dalla Russia. Quella che il presidente ha chiamato "de-offshorizzazione" dell'economia potrebbe riportare nelle casse dello Stato - forse anche grazie a un'amnistia - mille miliardi di dollari: ed è questo il filo conduttore del discorso, la necessità urgente di ridare fiato, capitali e investimenti a un'economia che ha ormai ristretti margini di crescita se continua ad affidarsi prevalentemente al settore energetico. Putin, rieletto per sei anni ma forse deciso anche a raddoppiare con un secondo mandato nel 2018, ha bisogno di diffondere benessere per poter stabilizzare il proprio regno.

Ma così come i propositi di lotta alla corruzione - difficili da mettere in pratica perché coinvolgono le stesse persone che dovrebbero farli rispettare - anche il resto del discorso di Putin sembra un elenco di buone intenzioni, ma non nuove e difficilmente realizzabili per decreto. Alla Russia, ha detto il presidente, servirebbe un tasso di crescita tra il 5 e il 6%, lontano dal 3,5% stimato per quest'anno. Putin ha parlato di privatizzazioni e dell'urgenza di modernizzare l'economia riducendone la dipendenza da gas e petrolio, ma il suo avvertimento sul capitalismo di Stato veniva pronunciato proprio mentre Rosneft, la compagnia pubblica divenuta ormai primo produttore di petrolio al mondo, completava l'acquisizione della joint-venture Tnk-Bp. È per ordine del presidente che il Governo dovrà trovare il modo di rilanciare gli investimenti nelle infrastrutture e creare entro il 2020 25 milioni di posti di lavoro.

È la strada scelta da Putin per non perdere consensi. L'altra, quella del dialogo con le opposizioni, sembra preclusa. A un anno dalle prime proteste contro il suo ritorno al Cremlino, il presidente russo è tornato ad attaccare le organizzazioni sostenute da finanziamenti stranieri: «Le ingerenze dall'estero sui nostri affari interni sono inaccettabili», ha scandito Putin esaltando i valori spirituali e patriottici che danno vita all'anima russa. Poco dopo, il Comune di Mosca negava all'opposizione il permesso di organizzare una nuova marcia di protesta, chiesta per sabato prossimo.

fonte:

sabato 8 dicembre 2012

IL MIGLIOR DISCORSO DEL MONDO - Presid Josè Mujica - ITA - ENG - ESP

Alternativa scrive all'ambasciatore palestinese

Caro amico Ambasciatore,

desidero con questo messaggio e Suo tramite, far pervenire a tutto il popolo palestinese la nostra fraterna solidarietà per la recente deliberazione dell’ONU che, a grande maggioranza, ha dichiarato la Palestina suo membro osservatore. Sappiamo che questo è solo un passo,della lotta lunga e gloriosa che porterà la Palestina – liberatasi finalmente dalla illegale e crudele occupazione militare dello Stato d’Israele – ad avere il suo posto nel mondo, quale Stato sovrano, libero e indipendente entro i confini riconosciuti dalle stesse Nazioni Unite e con capitale Gerusalemme  est.

Riteniamo comunque che questo riconoscimento ufficiale dell’ONU, consentirà all’Autorità Nazionale Palestinese di portare davanti agli organismi internazionali i suoi irrinunciabili diritti e a denunciare, avanti i competenti organi di Giustizia internazionale, i crimini di guerra e contro l’inerme popolazione palestinese, compiuti dal governo sionista e razzista d’Israele, con l’esplicito sostegno dell’imperialismo USA.

Alternativa – laboratorio politico è una piccola forza che si colloca nel campo di opposizione all’establishment italiano ed internazionale, che tuttavia guarda lontano e si batte per una nuova architettura internazionale basata sul rispetto dei diritti fondamentali di tutti, singoli e stati, all’esistenza a parità di condizioni e si oppone fermamente alla guerra, comunque denominata, e alla partecipazione dell’Italia a qualsiasi azione militare fuori dai propri confini sotto qualsiasi ombrello, in primis la NATO, vecchio rottame della guerra fredda, di cui si serve la politica aggressiva americana per imporre un ordine mondiale, ormai fuori da ogni realtà storica e geopolitica.

Rinnovo, a nome di tutti i militanti di Alternativa, il nostro impegno incrollabile al vostro fianco, per l’affermazione definitiva dei vostri diritti e fino alla vittoria finale.

Giulietto Chiesa, Presidente di Alternativa - Laboratorio politico.


venerdì 30 novembre 2012

È etico pagare il debito?

di Alex Zanotelli - il dialogo

Ho riflettuto a lungo come cristiano e come missionario, nonchè come cittadino, sulla crisi economico-finanziaria che stiamo attraversando, e sono riandato alla riflessione che noi missionari avevamo fatto sul debito dei paesi impoveriti del Sud. Per noi i debiti del Sud del mondo erano ‘odiosi’ e ‘illegittimi’ perché contratti da regimi dittatoriali per l’acquisto di armi o per progetti 

E quindi non si dovevano pagare! “È immorale per noi paesi impoveriti pagare il debito,” -così affermava Nyerere, il ‘padre della patria‘ della Tanzania, in una conferenza che ho ascoltato nel 1989 a Nairobi (Kenya). “Quel debito - spiegava Nyerere - non lo pagava il governo della Tanzania, ma il popolo tanzaniano con mancanza di scuole e ospedali.” La nota economista inglese N.Hertz nel suo studio Pianeta in debito, affermava che buona parte del debito del Sud del mondo era illegittimo e odioso.
Perché abbiamo ora paura di applicare gli stessi parametri al debito della Grecia o dell’Italia? Nel 1980, il debito pubblico italiano era di 114 miliardi di euro, nel 1996 era salito a 1.150 miliardi di euro ed oggi a quasi duemila miliardi di euro. “Dal 1980 ad oggi gli interessi sul debito - afferma F.Gesualdi - hanno richiesto un esborso in interesse pari a 2.141 miliardi di euro!” Lo stesso è avvenuto nel Sud del mondo. Dal 1999 al 2004 i paesi del Sud hanno rimborsato in media 81 miliardi di dollari in più di quanto non ne avessero ricevuto sotto forma di nuovi prestiti.
È la finanziarizzazione dell’economia che ha creato quella ‘bolla finanziaria’ dell’ attuale crisi. Una crisi scoppiata nel 2007-08 negli USA con il fallimento delle grandi banche, dalla Goldman Sachs alla Lehman Brothers, e poi si è diffusa in Europa attraverso le banche tedesche che ne sono state i veri agenti, imponendola a paesi come l’Irlanda, la Grecia…”Quello che è successo dal 2008 ad oggi - ha scritto l’economista americano James Galbraith - è la più gigantesca truffa della storia.”
Purtroppo la colpa di questa truffa delle banche è stata addossata al debito pubblico dei governi allo scopo di imporci politiche di austerità e conseguente svendita del patrimonio pubblico. Queste politiche sono state imposte all’Unione Europea dal ‘Fiscal Compact’ o Patto Fiscale, firmato il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 capi di Stato della UE. Con il Fiscal Compact si rendono permanenti i piani di austerità che mirano a tagliare salari, stipendi, pensioni, a intaccare il diritto al lavoro, a privatizzare i beni comuni. Per di più impone il pareggio in bilancio negli ordinamenti nazionali. I governi nazionali dovranno così attuare, nelle politiche di bilancio, le decisioni del Consiglio Europeo, della Commissione Europea e soprattutto della Banca Centrale Europea(BCE) che diventa così il vero potere ’politico’ della UE. Il potere passa così nelle mani delle banche e dei mercati. La democrazia è cancellata. L’ ha affermato la stessa Merkel: ”La democrazia deve essere in accordo con il mercato”. Siamo in piena dittatura delle banche.
È il potere finanziario che ha imposto come presidente della BCE, Mario Draghi, già vicepresidente della Goldman Sachs, (fallita nel 2008!) e a capo del governo italiano Mario Monti, consulente della Goldman Sachs e Coca-Cola, nonché membro nei consigli di amministrazione di Generali e Fiat. (Monti fa parte anche della Trilaterale e del Club Bilderberg). Nel governo Monti poi molti dei ministri siedono nei consigli di amministrazione dei principali gruppi di affari della Penisola: Passera, ministro dello Sviluppo Economico, è amministratore delegato di Intesa San Paolo; Fornero, ministro del lavoro, è vicepresidente di Intesa San Paolo; F. Profumo, ministro dell’istruzione è amministratore di Unicredit Private Bank e di Telecom Italia; P.Gnudi, ministro del Turismo, è amministratore di Unicredit Group; Piero Giarda, incaricato dei Rapporti con il Parlamento, è vicedirettore del Banco Popolare e amministratore di Pirelli. Altro che ‘governo tecnico’: è la dittatura della finanza!
Infatti sotto la spinta di questo governo delle banche, il Parlamento italiano ha votato il ‘Patto Fiscale’, il Trattato UE che impone di ridurre il debito pubblico al 60% del PIL in vent’anni. Così dal 2013 al 2032, i governi italiani, di destra o sinistra che siano, dovranno fare manovre economiche di 47-48 miliardi di euro all’anno, per ripagare il debito. “Noi italiani siamo polli in una macchina infernale - commenta giustamente F.Gesualdi - messa a punto dall’oligarchia finanziaria per derubarci dei nostri soldi con la complicità della politica”. E ancora più incredibile è il fatto che sia stato proprio il Parlamento, massima istituzione della democrazia, a mettere il sigillo “a una interpretazione del tutto errata della crisi finanziaria, ponendola nell’eccesso di spesa dello Stato, soprattutto della spesa sociale - così pensa L. Gallino. La crisi, nata dalle banche, è stata mascherata da crisi del debito pubblico”.
Il problema non è il debito pubblico (anche se bisogna riflettere per capire perché siamo arrivati a tali cifre!), ma il salvataggio delle banche europee che ci è costato almeno 4mila miliardi di dollari, a detta dello stesso presidente della UE, Barroso (Sembra che il salvataggio delle ‘banche americane’ fatto da Obama sia costato su 14mila miliardi di dollari!) .
È chiaro che non possiamo accettare né il Patto fiscale della UE, né la sua ratifica fatta dal Parlamento italiano, né la modifica costituzionale dell’articolo 81, perché a pagarne le spese sarà il popolo italiano.
C’è in Europa una nazione che ha scelto un’altra strada: l’Islanda. La nostra stampa non ne parla. L’Islanda pittosto che salvare le banche (non avrebbe neanche potuto farlo, dato che i suoi debiti si erano gonfiati fino a dieci volte del suo PIL!), ha garantito i depositi bancari della gente ed ha lasciato il suo sistema bancario fallire, lasciando l’onere ai creditori del settore piuttosto che ai contribuenti. E la tutela del sistema di welfare, come scudo contro la miseria per i disoccupati, ha contribuito a riportare la nazione dal collasso economico verso la guarigione. È vero che l’Islanda è un piccolo paese ma può aiutarci a trovare una strada per tentare di uscire dalla dittatura delle banche 
Per questo suggeriamo alcune piste per una seria riflessione e conseguente azione:
  1. Richiesta di una moratoria per il pagamento del debito pubblico;
  2. Indagine popolare (audit) sulla formazione del nostro debito pubblico allo scopo di annullare la parte illegittima, rifiutando di pagare i debiti ‘odiosi’ o ‘illegittimi’, come ha fatto l’Ecuador di R. Correa nel 2007;
  3. Sospensione dei piani di austerità che, oltre essere ingiusti, fanno aumentare la crisi;
  4. Divieto di transazioni finanziarie con i paradisi fiscali e lotta alla massiccia evasione fiscale delle grandi imprese e degli straricchi;
  5. Messa al bando dei ‘pacchetti tossici’ e della speculazione finanziaria sul cibo;
  6. Divisione delle banche ‘troppo grandi per fallire’ in entità più controllabili, imponendo una chiara distinzione tra banche commerciali e banche di investimento;
  7. Apertura di banche di credito totalmente pubbliche,
  8. Imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie per la ‘tracciabilità’ dei trasferimenti e un’altra sui grandi patrimoni;
  9. Rifondazione della BCE riportandola sotto controllo politico (democratizzazione), consentendole di effettuare prestiti direttamente ai governi europei a tassi di interesse molto bassi.
Sono solo dei suggerimenti per preparare un piano serio ed efficace per uscire dalla dittatura delle banche.
Per chi è interessato alle campagne in atto per un’altra uscita dal debito, consulti: smonta il debito, www.cnms.it.; rivolta il debito, www.rivoltaildebito.it; no debito, www.nodebito.it.
Se ci impegniamo, partendo dal basso e mettendoci in rete, a livello italiano ed europeo, il nuovo può fiorire anche nel vecchio Continente.
Da parte mia rifiuto di accettare un Sistema di Apartheid mondiale dove il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse: un pianeta con un miliardo di obesi tra i ricchi, e un miliardo di affamati tra gli impoveriti, e dove ogni minuto si spendono tre milioni di dollari in armamenti e nello stesso minuto muoiono per fame la morte di quindici bambini.
Il mercato, la dittatura della finanza si trasformano allora “in armi di distruzione di massa”, dice giustamente J. Stiglitz, premio Nobel dell’economia. “Il potere economico-finanziario lascia morire - afferma F. Hinkelammert - e il potere politico esegue…. Entrambi sono assassini.”
Diamoci da fare perché vinca invece la vita!
Alex Zanotelli
Napoli, 18 novembre 2012


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lunedì 26 novembre 2012

Robot in guerra: troppe vittime civili con le armi “intelligenti” e i droni

La denuncia di Human Rights Watch in uno studio realizzato con l’Università di Harvard secondo cui l’introduzione di mezzi militari dotati di intelligenza artificiale mette a rischio l’incolumità dei civili e viola la Convenzione di Ginevra

di | 25 novembre 2012

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Dall’Afghanistan ai territori occupati in Palestina, l’utilizzo dei droni (velivoli senza pilota, ndr) per eseguire attacchi “mirati” è una pratica costante, così come lo è il conto delle vittime civili coinvolte negli attacchi portati dagli aerei comandati a distanza. Nel futuro lo scenario potrebbe però peggiorare, con l’utilizzo di armi completamente autonome in grado di portare a termine gli attacchi senza l’intervento umano o addirittura capaci di decidere quando e come agire sul campo di battaglia.

A denunciare il rischio della “disumanizzazione della guerra” è un rapporto pubblicato da Human Rights Watch, intitolato ‘Losing Humanity’. Il rapporto, realizzato in collaborazione con un gruppo di studio della School of Law dell’Università di Harvard, affronta la questione dei cosiddetti “robot da guerra” chiedendo che ne sia immediatamente proibito lo sviluppo. Uno scenario fantascientifico? Per niente. La realizzazione di armi da guerra robotiche completamente autonome, infatti, è una possibilità che si potrebbe concretizzare nel giro di 15 anni. Uno scenario che i vertici militari vedono come “auspicabile”, ma che preoccupa gli attivisti per i diritti civili. Per quanto evoluta, denunciano nello studio, una macchina non potrà mai avere una capacità di giudizio paragonabile a quella di un essere umano in carne e ossa. La macchina difetta di empatia, intuito e, soprattutto, di compassione. Insomma: l’introduzione di armi “troppo intelligenti” rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza dei civili coinvolti negli scenari di guerra, oltre che una violazione delle prescrizioni contenute nella Convenzione di Ginevra.

Un futuro molto vicino – Scorrendo il rapporto, disponibile integralmente in lingua inglese sul sito di Human Rights Watch, è facile realizzare come le preoccupazioni legate ai “robot da guerra” siano tutt’altro che campate per aria. A confermare l’attualità della questione non sono solo gli estratti dai documenti ufficiali dell’esercito Usa, nei quali si parla dei progetti in corso d’opera per la realizzazione di strumenti di attacco e difesa “sempre più autonomi”, ma gli esempi concreti documentati riguardanti armamenti già in uso in mezzo mondo. I sistemi di difesa automatici, infatti, sono utilizzati ampiamente dagli eserciti Usa e dai suoi alleati fin dagli anni ‘80. Uno dei primi a essere impiegati è stato il Phalanx, un sistema installato sulle navi da guerra e in grado di intercettare missili o velivoli nemici rispondendo all’aggressione con un volume di fuoco di 3000-45000 colpi al minuto. La versione “terrestre” del sistema è stata invece utilizzata per la prima volta nel 2005 in Iraq.

Per restare all’attualità, il rapporto cita i sistemi automatici utilizzati per la difesa del confine tra Israele e la striscia di Gaza. Le Sentry Tech in dotazione alle forze di difesa israeliane (Idf), sono torrette mobili in grado di rilevare movimenti nell’area sorvegliata e inviare i segnali a una postazione remota. Le armi con cui sono equipaggiate permettono di colpire un bersaglio a una distanza di un chilometro e mezzo, ma tra i progetti dell’esercito israeliano c’è anche quello di utilizzare dei missili anti carro che avrebbero una gittata di diversi chilometri. Tecnicamente, l’ordine di sparare viene dato da un militare addetto al controllo del dispositivo. Rilevazione e puntamento, però, sono completamente automatici. Un sistema simile è stato adottato dalla Corea del Sud, per il controllo della zona demilitarizzata al confine con i suoi vicini del nord. In questo caso l’equipaggiamento delle torrette robot SGR-1, del costo di 200mila dollari l’una, prevede mitragliatrici da 5.5 mm o, in alternativa, un lancia granate da 40 mm. Tutti armamenti che, in ogni caso, potrebbero colpire più o meno direttamente i civili presenti nell’area.

Il fattore umano - Nei sistemi di difesa automatici, prima che il sistema apra il fuoco è necessario che un operatore certifichi il bersaglio. Un’operazione che richiede di prendere una decisione in pochi secondi e che, secondo il giornalista ed esperto di questioni militari Peter Singer, è soggetta a una sorta di “pregiudizio automatico”: in pratica, la capacità di giudizio viene influenzata dalla segnalazione della macchina e l’operatore che deve agire in tempi stretti tende ad assecondare il giudizio del computer piuttosto che effettuare una valutazione indipendente. In futuro, però, le cose potrebbero cambiare, e in peggio. Il punto di non ritorno indicato da Human Rights Watch è quello che si raggiungerà con l’utilizzo di mezzi “completamente autonomi”, le cui azioni saranno determinate da sistemi di intelligenza artificiale. Uno scenario in cui la presenza di civili, nemici feriti o pronti ad arrendersi difficilmente troveranno posto nelle routine di sistema delle armi di nuova generazione. Guardium è un sistema terrestre senza pilota utilizzato dall’esercito israeliano per le operazioni di pattugliamento lungo i confini di Gaza. Si tratta di un mezzo “semi-autonomo” che, secondo quanto riportato nella brochure del produttore, è in grado di reagire a “eventi imprevisti”, utilizzando strumenti offensivi. Il vero anello di congiunzione tra i sistemi automatici di difesa e i “robot da guerra” sarebbe però l’X-47B, un drone in grado di decollare, eseguire una missione e riatterrare su una portaerei senza che sia necessario alcun intervento umano. Il prototipo su cui le forze Usa stanno lavorando non è equipaggiato con armamenti, ma ha già due alloggiamenti utilizzabili per le armi con una capacità di 4.500 libbre. Qualcosa di simile è stato sviluppato anche nel Regno Unito: si chiama Taranis ed è descritto come “un drone stealth autonomo, in grado di colpire bersagli a lungo raggio anche in un altro continente”. La creazione del “robot da guerra” paventata da HRW non è poi così lontana.

fonte:

Per una giustizia e un’etica planetarie...

L'intervento di Roberto Scarpinato
Al 20° convegno del Centro Balducci
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Roberto Scarpinato
Procuratore Generale di Caltanissetta
Per una giustizia e un’etica planetarie: nella memoria viva dei 20 anni di padre Ernesto Balducci; di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; delle altre vittime delle stragi di Capaci e via d’Amelio e di tutte le vittime delle mafie
 
Come ha ricordato Pierluigi, questo è il terzo anno di seguito che il Centro Balducci mi invita a partecipare alla sua manifestazione e per me questi incontri sono diventati un’occasione per condividere con voi gli interrogativi e le impressioni sul tema di Dio e sul senso della vita, della morte, sulla possibilità di creare un mondo più giusto, interrogativi che mi hanno accompagnato e mi hanno travagliato nel corso della mia lunga esperienza di magistrato antimafia.
Ho trascorso gli ultimi venticinque anni della mia vita a Palermo, una città che, nell’immaginario collettivo, è percepita più come un luogo simbolo che trascende la dimensione puramente geografica, come la capitale della mafia, come la patria elettiva degli assassini, come epicentro di un impero del male contro cui nel tempo si sono schierati, venendone inesorabilmente travolti, alcuni solitari paladini del bene di cui si onora la memoria.
Eppure questo luogo simbolo, oltre a essere stato uno degli epicentri dell’impero del male, è stato per me una delle più importanti fucine di formazione etica di questa nazione. Un luogo nel quale intere generazioni sono state costrette a misurarsi con i grandi temi della vita. Proverò a spiegare il senso di questa contraddizione.
Vedete, a Palermo la protagonista occulta della vita cittadina è stata la morte. Quasi non vi è strada, non vi è crocevia, non vi è piazza dove non sia stato consumato un omicidio, un assassinio, una strage. La città è disseminata di lapidi e di targhe che ricordano che qui è stato ucciso un magistrato con la sua scorta, qui un prefetto, qui un poliziotto, qui una persona che ha avuto il coraggio di testimoniare in un processo di mafia, qui un prete e via di seguito con una triste contabilità della morte che quasi non ha fine. Ma anche dove mancano lapidi e targhe, la memoria collettiva degli abitanti dei luoghi conserva tracce indelebili di sparatorie, di corpi crivellati, squarciati dall’esplosivo, di donne piangenti dinnanzi e cadaveri, di volti attoniti e smarriti.
L’anno scorre tra la partecipazione a una messa in ricordo delle vittime e un’altra, una continua commemorazione che si snoda quasi senza interruzione di continuità. Ma la morte è stata protagonista della vita cittadina non solo per i tanti lutti del passato, ma anche perché ha abitato continuamente, e spesso segretamente, la mente e il cuore dei vivi come una minaccia costante. Mi riferisco a coloro che sono rimasti in vita e che tuttavia per anni, per decenni hanno dovuto convivere col pensiero della propria morte, temendo di essere uccisi perché avevano osato ribellarsi alla mafia. Mi riferisco ai tanti che, invece, hanno ceduto alle richieste della mafia e che talora ne sono divenuti complici e che prima di addivenire a questo passo hanno immaginato la propria morte, se non fossero stati arrendevoli, ed hanno rivisto nella propria mente mille volte il film della morte di altri che erano stati più coraggiosi e più onesti di loro. Mi riferisco agli stessi assassini, ai somministratori di morte che convivono quotidianamente con la consapevolezza di poter essere uccisi a loro volta, spesso – come mi hanno confessato – con il ricordo dell’ultimo sguardo delle loro vittime.
 

venerdì 23 novembre 2012

Parco Dolomiti friulane, la chiusura è vicina

TRIESTE - Il Parco delle Dolomiti friulane rischia di chiudere. “Stiamo attraversando un periodo economico difficile. Tutti lo sanno. Ma non credevamo che la tutela del territorio montano, già svantaggiato per mille altri motivi, vedersi azzerate le poste di bilancio regionale. È irragionevole”.


Preoccupati dall’azzeramento dei fondi previsti per i Parchi naturali nella proposta di bilancio adottata dalla Giunta regionale, i presidenti delle due maggiori aree protette del Friuli Venezia Giulia hanno chiesto e ottenuto un incontro con l’assessore regionale competente, Claudio Violino.

Alla riunione, tenutasi a Trieste, era presente anche il consigliere regionale Maurizio Salvador, la direttrice del Servizio caccia, risorse ittiche e biodiversità, Marina Bortotto, e i due direttori degli Enti Parco. A conoscenza dell’incontro e particolarmente interessati anche i consiglieri Cacitti, Baritussio, Della Mea, Menis, Colussi e Corazza.

I presidenti, Stefano Di Bernardo per il Parco Prealpi Giulie e Luciano Pezzin per il Parco Dolomiti Friulane, hanno a palesato il loro disappunto per la scelta compiuta. Hanno ricordato il ruolo giocato dai due Parchi per la conservazione della natura e la promozione di forma di sviluppo sostenibile fin dalla loro istituzione. In particolare hanno sottolineato come la mancanza di trasferimenti regionali metta a rischio non solo la funzionalità dei due Enti ma anche i posti di lavoro sia del personale dipendente, sia di quanti lavorano attraverso cooperative o società, o con contratti di collaborazione, per la gestione attiva del territorio.

Violino ha illustrato la complessa situazione del bilancio regionale: i finanziamenti sono passati da 67 a 19 milioni. Ha comunque dato disponibilità a rivedere l'inserimento delle poste specifiche nel bilancio (per evitare di chiudere servirebbero, in totale, almeno 1,7 milioni di euro), ma ha rammentato che dovrà essere il Consiglio regionale a dare un chiaro segnale economico.

Chiudere il parco significa che tutte le attività esistenti non saranno più possibili e che la manutenzione non sarà attivata. Gli escursionisti esperti potranno continuare ad andare all’interno, ma famiglie, scuole e turisti occasionali saranno bloccati dall’assenza di servizi.

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giovedì 22 novembre 2012

Il Venezuela và!

Un modello di democrazia partecipativa. Il Presidente Hugo Chavez Frias sottopone alla consultazione popolare il Secondo Piano Socialista della Nazione per il periodo 2013-2019.

Per la prima volta un governo chiede ai suoi cittadini, senza discriminazione di credo politico o di genere, di pianificare e di eseguire insieme le politiche di approfondimento e consolidamento del socialismo.

Nello scorso mese di giugno il Presidente Hugo Chavez Frias, subito dopo la sua candidatura alle elezioni presidenziali, aveva presentato il Secondo Piano Socialista come programma di governo per il periodo 2013-2019; subito dopo la sua clamorosa affermazione, aveva informato che il 10 gennaio 2013, giorno del suo giuramento come Presidente, lo avrebbe presentato all’Assemblea Nazionale per la sua discussione e approvazione o respingimento, secondo quanto stabilito dalla Costituzione.
Il Secondo Piano Socialista prevede cinque obiettivi storici che sono quelli di difendere e consolidare l’indipendenza nazionale; continuare nella costruzione di una patria socialista come alternativa al sistema distruttivo e selvaggio del capitalismo; convertire il Venezuela in una potenza sociale, economica e politica in America Latina e nel Caribe; contribuire allo sviluppo di una nuova Geopolitica Internazionale che permetta di raggiungere l’equilibrio dell’Universo e garantire così la pace; preservare la vita del pianeta e salvare la specie umana.

Per ognuno di questi punti vengono esplicitate decine e decine di proposte che sono il fondamento stesso del programma di governo per il periodo 2013-2019 che, prima del passaggio parlamentare, sarà oggetto di dibattito, valutazione, proposte e modifiche da parte non solo delle organizzazioni politiche e dei movimenti sociali, ma anche di tutta la popolazione venezuelana, senza distinzioni politiche o discriminazioni di sorta, chiamata dal Presidente Chavez a partecipare al processo di approfondimento e consolidamento del socialismo bolivariano del XXI secolo e di crescita della nazione.

Per facilitare e garantire la massima partecipazione, i cittadini possono avvalersi di diverse modalità di intervento; si prevede infatti lo svolgimento di assemblee di dibattito all’interno delle comunità o nei consigli comunali; la disposizione di 13.600 punti rossi del PSUV-Partito Socialista Unito del Venezuela adibiti alla diffusione del programma e alla raccolta di proposte; la collocazione di 94 buche delle lettere “Pensa per la Patria” negli uffici postali dei 23 stati venezuelani, sempre per raccogliere suggerimenti; la costituzione di “Città del Dibattito” spazi aperti per la discussione; ed infine l’utilizzo di spazi digitali “La mia Patria nel WEB” per lo scambio, diffusione e raccolta di proposte.

Nel fine settimana del 9-11 novembre si sono svolte affollate e partecipate assemblee di dibattito in tutti gli stati sede di elezioni dei Governatori e dei Consigli Regionali il prossimo 16 dicembre, aperte a tutti, quale eccellente esempio di democrazia diretta dal basso; mentre nel fine settimana del 16-18 novembre hanno avuto luogo le “Città del Dibattito” che hanno visto l’intervento di migliaia di cittadini e soprattutto di giovani, coinvolti in prima persona come attori della democrazia partecipativa e protagonistica garantita dal governo bolivariano. Per esempio, nello stato di Miranda sono state avanzate molte proposte da parte dei giovani sulla necessità di predisporre politiche sul primo impiego, creare un centro di studi della gioventù ed includere la materia educazione per il lavoro nel curriculum, che sono state consegnate al candidato a Governatore Elías Jaua del PSUV, affinché siano integrate sia nel suo programma di governo che nel Piano Socialista della Nazione.

E’ questo un ennesimo esempio di democrazia di attiva partecipazione dal basso che dovrebbe far ammutolire i grilli parlanti dell’informazione mainstream e far impallidire i politici occidentali, paladini della “democrazia”, entrambe le categorie sempre pronte a definire dispregiativamente Chavez come dittatore e a criticare con lui anche gli altri Presidenti latino americani che non sono disposti, a differenza dei loro predecessori espressione delle oligarchie borghesi, ad accettare le imposizioni e i diktat degli organismi finanziari internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.

Ricordiamo che FMI e BM nell’ultimo ventennio del XX secolo, per concedere la rinegoziazione del debito estero, hanno preteso in cambio dai governi locali la privatizzazione dei servizi pubblici, delle aziende strategiche e le riforme del lavoro, tramite i PAS Piani di Aggiustamento Strutturale che hanno affossato le economie nazionali del continente sud americano e trascinato nella miseria e nell’esclusione sociale milioni di persone, esattamente come sta accadendo nei confronti dei paesi dell’Europa Mediterranea con l’ imposizione delle medesime “riforme strutturali”.

In Venezuela, dove da tredici anni, invece, si è iniziato il processo di transizione al socialismo, milioni di cittadini godono dei benefici degli utili petroliferi che, grazie alla nazionalizzazione della PDVSA Petróleos de Venezuela S.A., sono oggi investiti nel sociale per rafforzare l’evoluzione verso l’uguaglianza, l’indipendenza piena e lo sviluppo.

A oggi, secondo indicatori confermati dalla FAO, Unicef e Unesco, i quasi 500 miliardi di dollari investiti nelle politiche sociali si traducono in 2.000.000 di studenti che si laureeranno grazie alla Misión Sucre; 1.400.000 persone che hanno imparato a leggere e scrivere grazie alla Misión Robinson; 633.000 diplomati con la Misión Ribas; 1.700.000 vite salvate nel quadro della Misión Barrio Adentro; 11.000.000 di persone che beneficiano di una migliore alimentazione e qualità della vita grazie alla Misión Mercal; 2.200.000 anziani che oggi possono contare su una pensione di vecchiaia e 150.000 abitazioni che si sono costruite grazie alla Gran Misión Vivienda.

Nonostante tutte queste realizzazioni, il Presidente Hugo Chavez Frias è perfettamente consapevole della necessità di dovere continuare a progredire nella costruzione di un modello economico produttivo, orientato a smontare il modello depredatore e insostenibile del capitalismo, e definito il Socialismo Bolivariano del XXI secolo che cerca di “conquistare la maggiore somma di felicità possibile della nostra società, servendo la gente, secondo le sue capacità e necessità”.

Alternativa a fianco del popolo palestinese

Alternativa dà la sua piena solidarietà al popolo palestinese di Gaza, vittima dell’ennesima aggressione israeliana. Intento a promuovere primavere in giro per il mondo, a ingerirsi nelle rivolte siriane, ad accerchiare l’Iran, l’Occidente assiste colpevolmente passivo quando non partecipe a questo genocidio dilatato vissuto ormai come costante dei nostri tempi.
Spicca in particolare il silenzio del premio Nobel per la Pace 2012, quella Unione Europea davanti alle cui coste si compie l’ennesima sovradimensionata aggressione dell’esercito israeliano (71morti e 400 feriti civili secondo fonti israeliane ad oggi). Anche il nostro governo unisce il suo silenzio “tecnico” a quello del continente.
Invitiamo tutti i democratici invece a far sentire le loro voci perché l’ennesimo massacro non si compia nella totale assenza di indignata protesta.

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lunedì 19 novembre 2012

RBS: soluzione Grecia? Semplice, "cancellare tutto il debito"

Una svalutazione completa del debito e' l'unica soluzione per poter consentire ad Atene di rimanere nell'area euro (VIDEO intervento di Moorad Choudhry). "Atene ha bisogno di un terzo pacchetto di aiuti", per Asmussen (consiglio Bce).
 New York - Il discorso e' molto semplice: "se le autorita' politiche europee facessero veramente sul serio e volessero fare tornare a crescere l'economia del paese e permettere ad Atene di restare nell'area euro, allora dovrebbero cancellare tutto il debito sovrano".

La "dichiarazione del giorno" e' di Moorad Choudhry, numero uno della divisione 'business treasury, global banking & markets' dell'istituto britannico Royal Bank of Scotland. "Non riesco a immaginare un accordo sulla riduzione del debito greco questa settimana", ha detto ai microfoni dell'emittente CNBC.

Se cosi' non sara' fatto, "l'economia continuera' a contrarsi, sempre piu' persone verranno licenziate e non saranno in grado di aumentare le entrate fiscali". Il problema allora qual e'? Che "se sei il cancelliere tedesco con le elezioni alle porte ovviamente non ti augureresti uno scenario del genere".

Grazie a Mario Draghi e alle misure intraprese dalla Bce, "siamo usciti dal momento peggiore della crisi e la banca centrale ha in teoria gia' svalutato il debito della periferia dell'Eurozona. Pertanto non credo che arriveremo a una soluzione definitiva in autunno".

Restando in tema Banca Centrale Europea, il membro del consiglio direttivo Jorg Asmussen ha previsato che Atene ha assoluto bisogno di un terzo pacchetto di aiuti esterni".

"Probabilmente - ha detto a Reuters - la Grecia dopo il 2014 avrà bisogno di un altro piano di aiuti".

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lunedì 12 novembre 2012

Trani, la procura chiede 7 rinvii a giudizio per S&P e Fitch

Chiusa dopo due anni l'inchiesta per la presunta manipolazione del mercato da parte delle agenzie di rating. I pm chiedono il rinvio a giudizio per sette persone. Richiesta di archiviazione per altre due

di | 12 novembre 2012

lunedì 5 novembre 2012

Crisi e politica, analisti finanziari in piazza con i 5 Stelle: “L’Esm? Una trappola”

A Roma il Movimento chiama a raccolta gli attivisti per parlare di economia con due esperti fuori dal coro per i quali il debito pubblico non è Satana, lo spread un gigantesco equivoco, mentre il Fondo Salva Stati di Draghi è pericolosissimo. Scarano: "Nessuno ha spiegato che problemi potrebbe creare il Meccanismo europeo di stabilità"di Filippo Barone - Il Fatto Quotidiano.

Anche gli analisti finanziari nel loro piccolo si incazzano e scendono in piazza, caso più unico che raro, tra gli attivisti del Movimento cinque stelle. Formalmente per spiegare alla gente l’abc dell’economia – dallo spread al rating, come da locandina dell’appuntamento di oggi pomeriggio alle 16 a Roma, alla Sala Ouverture di via Tripoli, 22 – ma di fatto, la batteria di concetti che si portano dietro fa rumore.
Il debito pubblico? Non è da demonizzare. Il Fondo salva stati di Draghi? Pericolosissimo. Lo spread? Un gigantesco equivoco. E uscire dall’Euro? Una delle ipotesi da mettere sul tavolo.
Partiti dal comune di Galbiate in Lombardia, gli anomali analisti Alfonso Scarano e Paolo Sassetti, fanno tappa nella Capitale invitati da un uditorio altrettanto rumoroso, quello appunto del Movimento cinque stelle. 


“Il nemico da abbattere – secondo Scarano, analista indipendente già vicepresidente dell’Aiaf, l’Associazione italiana analisti finanziari – è l’omologazione di pensiero, anche e soprattutto in economia”.
E qual è il pensiero omologato da abbattere?“Per esempio questa crisi: dire che il problema della nostra situazione sia solamente il debito e si risolva abbattendo solamente il debito. La crisi è nata dalle banche e poi trasmessa all’economia e non può essere risolta se non si affronta il problema delle banche, dei loro conflitti di interesse e della complessità degli strumenti finanziari che hanno inquinato l’economia”.

Già, le banche, sempre loro, sembra ormai un tiro al piccione.“Se uno generalizza si. Il sistema bancario è un istituto prezioso per lo sviluppo economico e sociale, tanto da meritare una speciale tutela pubblica. Raccoglie il risparmio e fornisce credito, tutela e dà fiducia ai risparmiatori, incentiva e finanzia lo sviluppo delle imprese. Ma il mondo delle banche è diventato bicefalo, vi è la testa della banca vera – quella detta commerciale – e quella della banca falsa, la banca d’affari. Abbiamo spazzato via le regole che separavano questi due diversi mestieri consentendo la creazione di conglomerati con un permanete conflitto di interesse”.
Quanti siete nella finanza a pensarla così?“Noi non parliamo a nome della categoria degli analisti. Siamo solo un gruppo di amici, ma parliamo anche a nome di tanti che non possono uscire allo scoperto. Alcuni hanno lo stipendio bancario e quindi hanno il problema di non potersi esprimere liberamente. In comune molti di noi hanno la fiducia in Keynes, all’economista Federico Caffè, e una sostanziale perplessità sulla veridicità delle informazioni economiche diffuse, spesso troppo timide e soprattutto comode per chi questa crisi l’ha provocata e per chi non la sta risolvendo”.
Per esempio?“Il Meccanismo europeo di stabilità, nessuno ha spiegato che trappola potrebbe diventare. Vedo che Napolitano auspica una generica cessione di sovranità ma non racconta quanta cessione di sovranità sia stata già effettuata ratificando il meccanismo. Parliamo del fondo di stabilità, noto come ‘salva stati’ ,quello che dovrebbe diventare operativo da gennaio e che prevede una contribuzione da parte dell’Italia di 125 miliardi di euro per poi intervenire in caso di esplosione dello spread”. 
Cos’è che non va?“Da gennaio, quando diventerà operativo il fondo, le scelte della politica economica italiana saranno dettate da un soggetto di diritto privato per di più lussemburghese che potrà operare senza controlli e senza responsabilità”.
Messa così fa impressione.“Non altro rispetto a quanto previsto dagli articoli 32 e 35 dello statuto del Fondo che prevedono l’immunità per gli amministratori e la segretezza degli atti. E tutto ciò senza che nessuno ne sappia nulla e tanto meno se ne discuta”.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11/04/crisi-e-politica-analisti-finanziari-in-piazza-con-lm5s/402929/.






venerdì 2 novembre 2012

In che epoca siamo capitati?

di Pier Luigi Fagan
In questo piccolo saggio, riprendiamo la domanda che ci facevamo otto mesi fa [1]. Questo articolo riprende i temi oggetto della Relazione introduttiva dei lavori di analisi ed approfondimento del Consiglio Nazionale del Laboratorio politico-culturale Alternativa, tenutisi a Firenze il 27-28 Ottobre 2012. La domanda è: in quale contesto storico ci è dato di vivere ?
Ci sono generazioni che capitano in stabili pianure storiche in cui non succede nulla di significativo, in cui i sistemi umani riproducono senza perturbazioni significative le forme di cui sono composti. Ci sono generazioni come quella di mio padre (1901) che trascorrono l’adolescenza nella campagna veneta a ridosso del fronte di una Guerra mondiale per poi giungere nella maturità a vivere una Seconda guerra mondiale. Ad altri è toccato il Rinascimento, il Risorgimento o la Peste del ‘300.
Di solito, a meno di non nascere nel pieno dei fenomeni transitivi o dei picchi di frizione che le transizioni producono, si entra in queste fasi trasformative senza alcuna consapevolezza di ciò che sta per succedere. Si è avviluppati a gli avvenimenti e ci si trasforma sotto la dinamica di questi, con in genere scarsa consapevolezza o con la falsa consapevolezza data dall’uso di strumenti di pensiero maturati in contesti precedenti che riapplichiamo di default nell’illusione che le verità che contenevano siano prive di condizionamento spazio-temporale. Può allora valere la pena di prendere un paio d’ali e farsi un giretto in alto, dove la vista spazia su superfici più ampie e dove ciò che accade oggi si mette al centro di ciò che è successo giusto ieri e ciò che sembra potrebbe succedere, forse, domani. In una epoca in cui impazzano i GPS, vale la pena di tracciare il nostro punto-posizione in maniera meno semplificata, cioè più “complessa”.

MUTAZIONE DEMOGRAFICA

 Le considerazioni demografiche sono quasi sempre avversate da una critica anti-malthusiana. Ma forse dovremmo imparare a dividere dati ed interpretazioni perché queste ultime non sono possibili solo in ottica malthusiana. Tra le tante cose che dobbiamo consegnare al ricordo storico c'è anche questo monismo tanto dell’interpretazione, quanto della sua critica. Leggiamo dunque i dati della demografia mondiale [2] senza per questo affrettare considerazioni sulla sovrappopolazione che non abbiamo in animo di fare, non è con questa intenzione che li citiamo .
Dal 1900 ad oggi la popolazione del mondo è cresciuta del 333%, è cresciuta cioè di tre volte in un secolo. Ma gran parte di questo incremento si è verificato nei ultimi, soli, 60 anni: quasi +180%, quasi un raddoppio in poche decine di anni. La “nazionalizzazione delle masse” [3] ha formattato i popoli poiché la forma stato-nazionale che al 1950 contava circa 50 entità, oggi ne conta più di 200. 

Non vi è dubbio alcuno sul fatto che, quando un insieme biologico cresce il suo volume di così tanto in così poco tempo, è la struttura stessa di questo insieme, più tutti i sottosistemi che lo compongono, a doversi riaccordare in una nuova forma generale.
Se poi questo volume sistemico, non è solo biologico, ma bio-politico-economico-culturale, l’indice di complessità dei fenomeni cresce esponenzialmente.
Più ancora delle cifre assolute sono interessanti quindi le cifre relative, cioè le cifre di cosa è successo ai diversi sistemi cultural-continentali, rispetto alla loro storia precedente e soprattutto rispetto ai loro reciproci precedenti rapporti. I sudamericani si sono sestuplicati, gli africani quasi quintuplicati, nord americani ed asiatici triplicati, gli europei (includendo l’Europa occidentale, quella orientale ed addirittura i russi) sono cresciuti, sì, ma solo a due cifre, del 78%. La Grande Europa che ad inizio secolo pesava per un quarto del mondo, oggi si è ridotta di meno della metà, dal 25% del totale mondo, al 12%.
Se scorporiamo le nazioni occidentali (EU occidentale, Nord America, Oceania anglosassone ed anche se è improprio il Giappone) che allora dominavano il mondo, scopriamo che anche qua il peso si è drasticamente dimezzato, l’Occidente o l’insieme delle nazioni a capitalismo avanzato da un quarto del mondo sono oggi poco più di un decimo. Le previsioni per gli immediati prossimi decenni accentuano i trend: asiatici ed africani saranno l’80% del mondo, 90% con i sudamericani. Un secolo fa erano il 70%. Gli europei sono i più anziani per età media, i più longevi per aspettativa di vita, sono in generale contrazione demografica, Russia, Germania, Spagna, Grecia ed Italia, sono i paesi dove questi indici sono più estremi. L’Italia è seconda solo al Giappone come aspettativa di vita (cioè come paese dei più anziani) e penultima prima del Giappone per indice di natalità. Ci stiamo semplicemente contraendo ed invecchiando sempre di più in un mondo giovane ed in espansione. 


mercoledì 31 ottobre 2012

Chi possiede il mondo?

Chi possiede il mondo?
di Noam Chomsky
26 ottobre 2012

AMY GOODMAN: Siamo a Portland, Oregon, perché facciamo parte del giro in 100 città organizzato  dalla Maggioranza ridotta al silenzio.  Questa settimana in cui il presidente Obama e l’aspirante alla presidenza, Mitt Romney hanno fatto un dibattito su problemi di politica estera, e sull’economia, noi ci rivolgiamo a Noam Chomsky, dissidente politico famoso in tutto il mondo, linguista, scrittore, e professore al MIT. In un recente discorso, il professor Chomsky ha esaminato argomenti in gran parte ignorati  o soltanto accennati durante la campagna elettorale, dalla Cina alla Primavera Araba, al riscaldamento globale e alla minaccia nucleare posta da Israele contro l’Iran. Ha parlato il mese scorso all’Università del Massachusetts ad Amherst a un evento sponsorizzato dal Center for Popular Economics. La sua conferenza era intitolata. “Chi possiede il mondo?”

NOAM CHOMSKY: quando pensavo a queste osservazioni, avevo in mente due argomenti, non riuscivo a decidere quale dei due scegliere, in effetti molto ovvii. Uno è: quali sono i problemi più importanti che dobbiamo affrontare? Il secondo è: quali problemi non si stanno trattando seriamente – o per nulla – in questa follia quadriennale in corso che si chiama elezione? Mi sono però reso conto che non c’è un problema; non è una scelta difficile: sono lo stesso argomento. E ci sono delle ragioni che sono di per se stesse molto significative. Mi piacerebbe tornare su questo punto fra un momento. Prima dirò alcune parole sul contesto, iniziando dal titolo che è stato annunciato: “Chi possiede il mondo?”

In realtà, una bella risposta a questa domanda è stata data tanti anni fa da Adam Smith, una persona che ci si aspetta che adoriamo, ma che non leggiamo. Era un po’ sovversivo quando lo si legge. Si riferiva alla nazione che era la più potente del mondo ai suoi tempi, e, naturalmente, era la nazione che lo interessava, cioè l’Inghilterra. E ha fatto notare che in Inghilterra gli architetti della politica sono coloro che possiedono la nazione: e che ai suoi tempi erano i mercanti e i  produttori di merci. E ha detto che essi si assicurano di disegnare le linee politiche, in modo che i loro interessi vengano seguiti in modo particolare. La politica è al servizio dei loro interessi, per quanto sia doloroso l’impatto sugli altri, compreso il popolo inglese.

Smith era, però un conservatore vecchia maniera con principi morali, quindi ha aggiunto le vittime dell’Inghilterra, le vittime di quella che chiamava “l’ingiustizia selvaggia degli Europei”, dimostrata specialmente in India. Ebbene, non aveva illusioni su chi fossero i proprietari, quindi, per citarlo di nuovo, “Tutto per noi stessi e nulla per le altre persone, sembra, in ogni età del mondo, essere stata la ignobile  massima dei padroni del genere umano.” Era vero allora; è vero adesso.

La Gran Bretagna ha mantenuto la sua posizione come potenza mondiale dominante quando il ventesimo secolo era già cominciato da un pezzo, malgrado il  suo declino progressivo. Alla fine della seconda guerra mondiale, il dominio si era spostato rapidamente nelle mani dell’ultimo arrivato  al di là del mare, gli Stati Uniti, di gran lunga la società più potente e ricca nella storia del mondo. La Gran Bretagna poteva aspirare soltanto ad essere il suo socio meno anziano,  come aveva mestamente riconosciuto il Foreign Office britannico (il mistero degli esteri). In quel momento, il 1945, gli Stati Uniti possedevano letteralmente la metà della ricchezza mondiale, incredibile sicurezza, controllavano l’intero emisfero occidentale, entrambi gli oceani, le sponde opposte di entrambi gli oceani. Non c’è nulla, non c’è mai stato nulla del genere nella storia.


E i pianificatori lo hanno capito. I pianificatori di Roosvelt si incontravano  durante la Seconda  guerra mondiale per disegnare il mondo del dopo guerra. Erano molto sofisticati al riguardo, e  i loro piani sono stati abbastanza messi in pratica. Volevano assicurarsi che gli Stati Uniti avrebbero controllato quella che  chiamavano una “grande area” che avrebbe incluso, sistematicamente l’intero emisfero occidentale, tutto l’Estremo Oriente, l’ex Impero britannico, di cui gli Stati Uniti avrebbero preso il controllo, e il più possibile dell’Eurasia – cosa di importanza cruciale – i suoi centri di commercio e di industria in Europa occidentale. E nell’ambito di questa area, dicevano, gli Stati Uniti avrebbero mantenuto un potere indiscutibile con una supremazia militare ed economica, assicurando nello stesso tempo la limitazione di qualunque esercizio di sovranità da parte di stati che potessero interferire con questi disegni globali.

per vedere tutto: z net italy chi possiede il mondo?

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
http://www.znetitaly.org
Fonte:http://www.zcommunications.org/who-owns-the-world-by-noam-chomsky
Originale: Democracy Now!
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2012 ZNET Italy –Licenza Creative Commons   CC BY-NC-SA 3.0

fonte:


Scorie nucleari e nuove energie

di Margherita Furlan Megachip.
Un viaggio insolito sta per compiersi a partire da uno dei posti meno indagati d’Italia. Il posto si trova in Piemonte, a Saluggia. È un ex reattore di ricerca, ha il nome di una gloria originaria del vercellese, il fisico Amedeo Avogadro.

Nel 1979 il reattore è stato dismesso e trasformato in deposito “temporaneo” di elementi di combustibile dell’ex centrale Enrico Fermi di Trino Vercellese. E il viaggio? Sono in partenza per gli Stati Uniti 52 elementi di combustibile di tipo "cruciforme" contenenti pastiglie di biossido di uranio con arricchimento non superiore al 3%. Così una vecchia storia, nata decenni fa e dimenticata per una generazione, ridiventa un problema attuale.

A causa di un malfunzionamento per un difetto di progettazione, la centrale di Trino fu fermata poco dopo la sua partenza e gli elementi di combustibile furono riprogettati per aumentare il rendimento del reattore e ridurre i problemi nel frattempo emersi. La riprogettazione comportò il mancato riutilizzo degli elementi "cruciformi" che furono collocati in deposito.

Negli USA gli elementi cruciformi subiranno un processo dal quale verrà recuperata una certa quantità di plutonio. Questo è lo scopo dichiarato dalle autorità governative, per il quale sembrerebbe necessario un trasporto sino al Porto di Trieste, attraversando l’intera Pianura Padana, diversamente dalla normalità dei casi in cui viene invece utilizzato il porto di La Spezia. 

Interi territori saranno attraversati da un carico lasciatoci in eredità da chi non aveva saputo risolvere un grave problema.

Come uscirne? Il tema delle scorie nucleari italiane è già stato lo spunto di un interessante progetto illustrato nel 2009 dal fisico italiano Carlo Rubbia (Nobel 1984 per la Fisica). Ora che le scorie stanno per viaggiare, il tema torna drammaticamente di moda, e sarà da approfondire scientificamente. Cosa fare delle scorie nucleari e della produzione di energia nucleare, ancora una volta, è tema da confrontare con le proposte alternative in ambito energetico. 

Cosa ci ricorda Rubbia? Nel mondo contiamo 436 reattori nucleari in 31 nazioni. Annualmente producono migliaia di tonnellate di nuove scorie.

Un reattore del tipo PWR scarica annualmente da 40 a 70 elementi di combustibile, mentre uno di tipo BWR da 120 a 200 (rispettivamente 461.4 e 183.3 Kg di uranio per assembly). 

La permanenza del combustibile dentro il reattore dura tre anni, prima di essere trasferito alle piscine di raffreddamento. Nel processo si generano circa 350 nuclidi differenti, e ben duecento sono radioattivi. Nel micidiale cocktail troviamo: uranio-238 (94%); uranio-235 (1%); plutonio (1%); attinidi minori [Np, Am, Cm] (0,1%); il resto sono prodotti di fissione.

Fra le scorie nucleari il più insidioso è il plutonio, che rimane pericoloso per circa 250mila anni. Gli attinidi perdurano a livelli pericolosi per circa 100mila anni (come dire tremila generazioni di esseri umani). Certi prodotti di fissione, come ad esempio alcuni isotopi dello iodio, del tecnezio e del cesio, sono particolarmente pericolosi per via della loro maggiore mobilità nella biosfera e la conseguente capacità di aderire di più alla nostra biologia (in riferimento alle vie di ritorno per l’uomo).

Per alleggerire il problema dello stoccaggio permanente delle scorie dei reattori nucleari è necessario quindi ridurre la formazione del plutonio e bruciare quello già prodotto.

Rubbia ha proposto un metodo[1] per rendere inerti le scorie radioattive e accorciarne l’emivita tramite il loro bombardamento con neutroni che si ottengono sparando protoni nel piombo fuso. Secondo il fisico italiano «stiamo parlando di ricerca. Dobbiamo studiare, ricercare, capire, ragionare. In circa otto anni potremmo costruire una macchina dimostrativa, e solo dopo si dovrà valutare la possibilità di passare davvero a un impiego commerciale di queste tecnologie. Se la macchina funziona il primo passo del progetto sarà bruciare le scorie che già ci sono.» In che misura? «Anche per l’Italia questo è un problema enorme: 300 tonnellate immagazzinate a Caorso, di cui 3 di plutonio. Che ne facciamo?»


In Europa oggi non ci sono abbastanza depositi di stoccaggio per far fronte alla grande produzione di scorie nucleari. La Croazia sta per diventarne la pattumiera. Il deposito sarà nella miniera d’argento in disuso a Majdan. Intorno, sarebbe automaticamente rischio un territorio di grande interesse naturalistico (tanto che si propone che diventi riserva mondiale con patronato Unesco). La miniera di Majdan però non è un luogo sicuro: il terreno intorno è poroso e ricco di sorgenti. Ed è assai vicina al fiume Una: in caso di contaminazione, gli inquinanti radioattivi sfocerebbero subito dalle sue acque a quelle del fiume Sava, e poi fino al Mar Nero dopo aver attraversato mezza Europa dell’Est. E poi arriverebbero i rifiuti da altri paesi europei. La via della radioattività coinvolgerebbe il Nord Italia e in particolare il Friuli Venezia Giulia.

Le ricerche di Rubbia prendono le mosse da questi problemi, ma senza facili illusioni. Lo sguardo spazia su tutti i campi dello sviluppo energetico. «Non solo il petrolio e gli altri combustibili fossili sono in via di esaurimento; anche l'uranio è destinato a scarseggiare entro 35-40 anni, come del resto l'oro, il platino, il rame. Non possiamo continuare perciò a elaborare piani energetici sulla base di previsioni sbagliate che rischiano di portarci fuori strada». Perciò Rubbia afferma[2]: «Dobbiamo sviluppare la più importante fonte energetica che la natura mette da sempre a nostra disposizione, senza limiti, a costo zero: e cioè il sole che ogni giorno illumina e riscalda la Terra».

Anche laddove l’energia nucleare ha una parte grande nel soddisfare il fabbisogno energetico del paese, come in Francia, resta, come ovunque nel mondo, il problema delle scorie. 

Anche le soluzioni fin qui proposte con il carbone presentano problemi enormi. Che non si risolvono nascondendo e “sequestrando” l'anidride carbonica sotto terra, che dura in media fino a 30 mila anni, contro i 22 mila del plutonio.

«Un impianto per la produzione di energia solare, costruito nel deserto del Nevada su progetto spagnolo costa 200 milioni di dollari, produce 64 megawatt e per realizzarlo occorrono solo 18 mesi. Con 20 impianti di questo genere si produce un terzo dell'elettricità di una centrale nucleare da un gigawatt. E i costi, oggi ancora elevati, si potranno ridurre considerevolmente quando verranno costruiti in gran quantità». 

Secondo Rubbia «noi possiamo sviluppare la tecnologia e costruire impianti di questo genere nelle regioni meridionali o magari in Africa, per trasportare poi l'energia in tutta Italia. Anche gli antichi romani dicevano che l'uva arrivava da Cartagine. Basti pensare che un ipotetico quadrato di specchi, lungo 200 km per ogni lato, potrebbe produrre tutta l'energia necessaria all'intero pianeta. E un'area di queste dimensioni equivale appena allo 0,1% delle zone desertiche del cosiddetto sun-belt. Per rifornire di elettricità un terzo dell'Italia basterebbe un anello solare grande come il raccordo di Roma». 

Mentre i camion scaldano i motori per raggiungere Saluggia, ricordiamo cosa aggiunge Rubbia: «Il sole non è soggetto ai monopoli. E non paga la bolletta.» 


Sino a quando il pianeta Terra consentirà tutto ciò a cui l’uomo accondiscende?

E per quali ragioni i nostri tecno-governi non investono in una ricerca che uno scienziato del calibro di Rubbia ci dice essere percorribile e vantaggiosa per l’umanità?

Ancora una volta verifichiamo come gli interessi finanziari governino il mondo e tengano in ostaggio i popoli, schiacciando anche la ricerca, ma soprattutto costringendo alla fame milioni di persone.


Margherita Furlan
Alternativa FVG
[1] Rubbia propone una variante del sistema ADS – Accelerator Driven System.
[2] Vedi http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/ambiente/energie-pulite/rubbia-solare/rubbia-solare.html
 fonte: